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Pietro A.

Sono in pensione, ormai da qualche anno, nella parte lavorativa della mia vita sono stato un militare dell’Aeronautica, dislocato presso la 46ª Brigata Aerea di Pisa.

Appena smesso di lavorare, nell’impatto con la mia nuova condizione di inattività, con un po’ di sorpresa mi resi conto che avevo tutto quel tempo sempre desiderato per approfondire certi miei interessi, ed iniziai subito a praticare vari hobby che non avevo potuto mai coltivare, non avendo avuto prima assolutamente tempo da potergli dedicare, tanto ero assorbito dal mio lavoro che ho sempre svolto con impegno.

Inoltre, avendo adesso più tempo, c’erano anche alcune faccenduole domestiche da sbrigare, come curare il giardino e fare vari lavori in casa.

 

Nonostante tutto questo mi resi ben presto conto che ciò non bastava a farmi sentire soddisfatto e impegnato e le giornate cominciavano a farsi sempre più lunghe, pesanti da portare a termine attivamente, abituato com’ero al lavoro con tante cose da fare.

Con un po’ di sano orgoglio, ma soprattutto per non generare preoccupazione, cercavo di non far notare questa mia situazione di disagio sia a mia moglie che ai miei due figli. Andavo però in cerca della soluzione affinché questo mio, stato d’animo di insoddisfazione non si tramutasse in depressione.

Un giorno (che è diventato un giorno importante) Franco, a cui va tutta la mia riconoscenza, mi propose di far parte del Nucleo Operativo di Protezione Civile, come volontario. Raccontandomi che lui già ne faceva parte e che la trovava una cosa interessante e soprattutto utile, in quel frangente si limitò a dirmi che si trattava di effettuare trasporti connessi alle attività di trapianti, senza aggiungere molto di più, ma che, se avessi voluto, mi avrebbe fatto incontrare il responsabile di questa organizzazione che mi avrebbe spiegato meglio.

Fui subito interessato, chiesi di poter avere questo incontro ed attesi con impazienza il giorno in cui avrei dovuto conoscere il responsabile.

Il giorno arrivò. Fu poco più di un’ora di colloquio, in cui mi fu rappresentata cos’era questa organizzazione di volontariato e soprattutto cosa mi sarei dovuto aspettare o, meglio, a cosa sarei andato incontro, quali impegni e quale tipo di attività. Mi fu anche spiegato che avrei dovuto sostenere un periodo di formazione teorico pratica, più pratica che teorica in effetti e per fortuna. Ed anche perché, fra le altre cose, avrei dovuto dare una prima prova nella guida della macchina, dato che è di vitale importanza l’incolumità propria, del personale medico e del materiale che si trasporta. In effetti il periodo di formazione durò alcune settimane, forse sei…otto, in cui ebbi modo di capire, imparare e poi fare, sotto l’attenta supervisione di “tutor” anziani esperti ed abilitati a formare i nuovi.

Una volta completata la formazione e raggiunta l’idoneità ad operare in autosufficienza fui inserito nel gruppo e, iniziate le varie missioni in Italia e in Europa, ho capito l’importanza di poter fare del bene, essendo utile a chi ha bisogno di aiuto. Sono molto contento di quello che faccio; mi sento realizzato e non provo alcuna fatica o disagio nei vari spostamenti, anche quando dopo una giornata iniziata di prima mattina e proseguita tra ospedali, aeroporti ed aerei, pur avendo concluso la “missione”, devo fare ancora qualche ora di viaggio in auto per tornare a casa.

Voglio fare una lode a tutti i membri del Nucleo Operativo di Protezione Civile, perché ho trovato persone magnifiche che mi hanno reso partecipe di questa esperienza, facendomi sentire utile verso il prossimo.

Sono oltre due anni che collaboro in veste di corriere e devo dire che a volte mi sento ancora turbato nel vedere i pazienti, specialmente i bambini che fanno più tenerezza.

Voglio raccontare quello che mi ha colpito maggiormente e che non dimenticherò mai. In un viaggio in Germania, precisamente ad Ulm, ho avuto modo di conoscere il donatore di cellule staminali destinate ad una persona ammalata di leucemia e ricoverata presso un ospedale italiano, che mi ha affidato una lettera da consegnare al paziente, cui sarebbero state trapiantate le sue cellule staminali. Mi sono sincerato che il contenuto fosse anonimo e non riportasse dati che potessero in qualche modo identificare il donatore, in ottemperanza alle norme che impongono la tutela della riservatezza e l’anonimato del donatore.

All’arrivo all’ospedale di Bari, ho chiesto ai medici di poter vedere il paziente, in modo da potergli consegnare la lettera; una volta appurato anche dal personale medico che la lettera non riportasse dati personali, sono stato accompagnato dall’ammalato. Qui sono stato accolto calorosamente ed egli ha voluto leggere la lettera insieme a me. Era scritta in un italiano stentato ma era ugualmente bella e commovente: il donatore si augurava che il trapianto andasse bene, che fosse la sua salvezza e diceva che da quel momento lui si sentiva come un “fratello di sangue”. All’interno della busta vi era anche una piccola medaglietta raffigurante la Madonna.

Tante di queste esperienze rafforzano in me la consapevolezza che, nonostante le brutture che esistono nel mondo, c’è e ci sarà sempre qualcuno disposto a fare del bene. Io cercherò di fare la mia parte.

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