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Nedo P.

Penso che, in parte, la nostra vita, sia influenzata dal destino e credo fermamente che questo sia il mio caso.

Ho conosciuto il Nucleo Operativo di Protezione Civile circa 7 anni fa, quasi per caso; infatti un giorno mi recai a Firenze a trovare un amico e, parlando con lui del più e del meno, rammentò questa Associazione. Incuriosito volli approfondire l'argomento, al punto da chiedere un appuntamento al responsabile per capire meglio cosa facevano e quali erano le loro motivazioni. Da quell’incontro è iniziata la mia avventura. In quell’occasione mi fu infatti spiegato in maniera più specifica e dettagliata come funziona l’associazione. La cosa mi affascinò e decisi di chiedere di entrare a far parte del gruppo per poter dare il mio contributo. Dopo un po’ di tempo ed una serie di test attitudinali, fui ammesso e iniziai un percorso formativo che da allora è in continuo evolversi.

 

È così che ho cominciato, prima affiancato e poi, in seguito, da solo, a portare i medici nei vari ospedali per i prelievi di organo e successivo trapianto. Questa esperienza mi ha portato a conoscere tante cose nuove e tante persone, compresi i chirurghi dei vari settori, come, ad esempio, cardiochirurghi, chirurghi del fegato e del rene-pancreas, ortopedici, ecc. Con tutti loro è nato prima un bel rapporto di collaborazione e poi anche di amicizia, che dura ormai da tanti anni. Grazie a loro ho scoperto che, prima di essere bravi chirurghi, sono uomini seri nella vita e nella loro professione. Con loro ho condiviso momenti belli e momenti tristi, nei nostri lunghi spostamenti. Molti di loro, pur essendo molto bravi nella loro “arte”, sono giovani, e nei nostri viaggi capita il momento di svago intellettuale in cui ci si raccontano barzellette e prendono in giro i vari colleghi e colleghe, senza risparmiare nessuno, neppure me! Aneddoti ce ne sono tanti, ma alcuni mi sono rimasti più impressi, anche perché loro non me li fanno dimenticare, non mancando occasione per ricordarmeli e prendermi in giro; come quando quella volta che andavamo a fare un espianto a Verona e, giunti al pronto soccorso dell’ospedale, con la sirena della macchina accesa, questa non si spengeva e vani furono tutti i miei tentativi. Non riuscivo a calmare quel suono potente ma fastidioso, soprattutto considerando il fatto che ci trovavamo già in area ospedaliera, creando caos e mettendomi in non poco imbarazzo. Per fortuna arrivò un signore in giacca e cravatta che si trovava nei pressi e che, con una semplicità incredibile, la spengeva consegnandomi un fusibile che aveva tolto! Vi potete immaginare cosa non mi hanno detto! Ogni scusa era buona per prendermi in giro e questa arrivava addirittura servita come su un piatto d’argento; meno male che ridere fa bene e un po’ di sana autoironia aiuta a rendere meno triste il lavoro che ci aspetta in sala operatoria, soprattutto quando pensiamo al grande atto di generosità della donazione, accompagnato dal profondo dolore dei familiari. Un dolore leggermente attutito soltanto dalla consapevolezza di fare del bene a un’altra o più persone. Il mio rispetto è massimo in questi casi, così come lo è la sofferenza e l’angoscia di chi lascia un proprio caro, strappato dal destino magari a una vita felice. Ecco, in questi casi mi rattristo molto e divento cupo, mi sento come circondato dal dolore, che mi preme sul petto. Riesco a ritrovare un po’ di speranza solo grazie al rapporto umano che esiste fra di noi e la consapevolezza dei miei affetti. Generalmente il mio sorriso torna a splendere quando torniamo all’ospedale di partenza dove una vita attende di poter proseguire il suo corso.

Ecco sì, parlavo di sorriso. Preferisco raccontare le cose gioiose che mi tornano in mente, che di quelle buie è pieno il mondo e, ogni tanto, è bene far finta di dimenticarsene e sorridere al futuro.

Mi vengono in mente quelle volte che, spesso digiuni e affamati dalle tante ore di lavoro alle spalle, fermandoci in autogrill, vengo preso in giro per i miei buffi accostamenti di cibo, oggetto di battute a non finire. In fin dei conti li considero un po’ come dei figli e in tutto ciò, come detto sopra, si alternano momenti felici a momenti tristi o, a volte, anche molto tesi. Mi ricordo, ad esempio, quella volta che, tornando da Cesena, abbiamo trovato un tir di traverso; c’era stata una rapina e la situazione creatasi ci impediva di proseguire, essendo la carreggiata inagibile, creandoci notevoli disagi e ritardando pericolosamente i tempi di inizio trapianto, tanto da mettere a repentaglio la vita del ricevente. In quell’occasione, per fortuna andò tutto bene; in breve i vigili del fuoco liberarono la carreggiata quanto bastava per far proseguire la nostra corsa per la vita e giungemmo in tempo all’ospedale. A parte tutte le divagazioni e i ricordi più o meno felici, io sono molto fiero di far parte di questa organizzazione, che mi ha dato l’opportunità di crescere interiormente oltre al fatto di conoscere persone, medici e infermieri in primo luogo, che mettono l'anima nel loro lavoro. Un lavoro che è sinonimo di missione e che hanno fatto diventare l'ospedale di Pisa (quello che io conosco meglio di tutti, perché è da lì che generalmente parto e rientro), uno dei più importanti d'Italia a livello di trapianti e di tante altre cose, non ultima la parte relativa ai rapporti umani. Poi per ultimo, ma non per importanza, vorrei ricordare la nostra organizzazione, che definirei perfetta in tutti i suoi punti, grazie a Massimo e a tutti i volontari che ogni giorno danno il meglio di se stessi per far sì che tutto vada per il meglio, rispettando tutti i tempi e le coincidenze possibili e facendo in modo da attenuare ai minimi termini ritardi, rischi e imprevisti. E poi vorrei ricordare Franco, detto "Ditone", che ci ha lasciati prematuramente durante un servizio da Siena a Pisa, in un incidente stradale di cui ancora oggi non ci diamo ragione. Persona molto brava attaccata al suo lavoro ma anche alla scelta di volontariato che aveva fatto; di lui ho il ricordo di una persona allegra, di una simpatia unica, che vivrà sempre nei nostri cuori. Per tutto quanto sopra, vorrei che le persone conoscessero il lavoro e la dedizione che sta dietro ai trapianti: lavoro dei chirurghi e degli infermieri, ma anche il nostro, che rischiamo, ogni qualvolta partiamo, la nostra vita per salvarne un'altra. La consapevolezza di questo impegno credo che renda degna la mia vita.

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