Conoscenza - Gli eroi sono normali
Piombino. Esterno notte di una calda sera di mezza estate. Voglia di alcuni minuti di relax dopo una giornata sudata a fare da “auto scopa” ad un gruppo di coraggiosi podisti di ogni età, decisi a sfidare se stessi per una buona causa: percorrere 200 chilometri in quattro giorni sotto il sole cocente dell'estate italiana, per accendere i riflettori sui bisogni di un gruppo di ragazzi meno fortunati, che stanno costruendo sull'Isola d'Elba la loro “casa al mare”.
Esterno notte di una calda sera di mezza estate; sono nelle gambe tre quarti di quel percorso e, mentre gli atleti dormono ristorando i muscoli, decido con Simone, mio compagno di vita e di avventura del momento, di scendere in strada per rilassarsi un po' e godere di quella brezza marina, finalmente ristoratrice sotto le stelle.
Una musica annoiata da pianobar polveroso conduce verso la vicina spiaggetta dove, in un bagno per famiglie da week end, alcuni ragazzini giocano amoreggiando fra loro i primi batticuori, un goliardico gruppo di anziani si anima in una briscola e alcune madri raccolgono i giocattoli dei bimbi nei sacchi di rete prima di avviarsi verso la notte. Arsura, voglia di una birra fresca ammirando l'orizzonte salmastro che lascia intravedere, tremule, ma ben allineate a segnare la sagoma della costa, le baie della dirimpettaia isola d'Elba.
Spostiamo le sedie per accomodarci a un tavolino sotto un ombrellone sfrangiato che ripara dal chiar di luna quando scorgiamo, solitario, alcuni tavoli più in là, Massimo, il responsabile della logistica della corsa, l'uomo della protezione civile di cui con gioia il leader della corsa mi aveva annunciato solo pochi giorni prima la presenza.
L'avevo ammirato per quel suo offrirsi, e in quei giorni per la rassicurante ma decisa gestione posta sotto il suo comando, capendone la tempra di leader a naso; ma in quella sera avevo la prima occasione per approfondire la sua conoscenza.
Lui ci vede e saluta con un sorriso; ricambiamo e lo raggiungiamo al suo tavolo, sedendo e ordinando le birre. Sorseggiando con Massimo, così scopriamo si chiama, inizia a parlare con calma, chiarezza e buona proprietà di linguaggio. La sua maglietta d'ordinanza ha ricamato - e non penso sia un caso proprio sul cuore - una piccola tartaruga, con una sirena lampeggiante sulla corazza e una valigia con croce rossa in mano, contornata dalla scritta gialla “Run worldwide... for life”. Il mio scarso inglese mi fa balzare subito al cervello la parola run. Allora anche lui corre penso. Ma no, cosa c'entra world che so bene significare mondo e poi wide for life... Penso tutto ciò mentre lui continua a parlare con occhi entusiasti a Simone. Mi distraggo con queste elucubrazioni per farmi trovare preparata, per sapere cosa chiedere e cosa dire a quella persona che, avverto, è tutta da scoprire.
Continuo nei miei pensieri; rimetto insieme il mio poco inglese e traduco quella scritta in “correre intorno al mondo... per la vita”. M'incuriosisco sempre più.
Simone credo lo sia quanto me, perché mi brucia sul tempo con molte domande che mi fanno capire che, in quell'esterno notte di una sera di mezza estate, sto conoscendo una di quelle persone che speri sempre d'incontrare nel cammino della tua vita.
Lui continua a parlare della sua quotidianità e del suo lavoro: “trasporto organi per trapianti” afferma con un mezzo sorriso disarmante e l'aria sorniona che fa sembrare dica: “sono un impiegato e vado in ufficio ogni giorno alle nove di mattino”.
Continuiamo ancora per ore, con un fuoco di fila di domande. Diventiamo assillanti, ma non riusciamo a fermarci, sospinti dalla voglia di conoscere un mondo che si sta svelando entusiasmante. Massimo non si scompone, risponde a tutto con calma e completezza. Racconta di cosa sia saltare giù da letto in piena notte, quando ti chiamano perchè c'è un cuore nuovo in arrivo per una persona che aspetta da molto l'ora della rinascita, di come si viaggia con tensione e attenzione in lungo e largo per le strade d'Italia sotto ogni intemperie, e un cuore, un fegato, un rene oppure un polmone chiusi in un frigorifero adagiato sul pavimento dell'auto, subito dietro il tuo posto di guida, oppure di come si corra negli aeroporti del mondo, fra coincidenze e voli in ritardo, per andare in una qualsiasi parte del mondo a ritirare cellule salvavita, da consegnare poi in un'altra qualsiasi parte del mondo, a qualcuno che ha solo quella chance per non spengersi di leucemia.
La birra scende nel boccale e le gocce che la riscaldano si commuovono anche loro a quei racconti sul fianco del vetro, bagnando il tavolino mentre la musica del pianobar sta finendo e le luci si abbassano annunciando la chiusura del locale. Vedo gli occhi di Simone sgranati ed avverto nel suo sguardo il mio specchio. Sono affascinata da quei racconti. Mi sembra di essere entrata all'improvviso nella sceneggiatura di un film d'avventura, ma allo stesso tempo ho la consapevolezza che gli eroi non hanno abitini superaderenti, sgargianti e maschere sul viso, ma si travestono da uomini qualunque.
Osservo ancora il mio interlocutore e scopro che Massimo è proprio così: vestito in t-shirt, jeans e sneakers, con un volto normale, un’altezza normale e un modo di parlare e comportarsi normale.
“Cerchiamo volontari” afferma deciso “gli cerchiamo sempre perché è difficile trovare persone che abbiano voglia di fare quest'attività in cui serve un buon autocontrollo personale, molto senso di responsabilità e sapere almeno un po' d'inglese”.
Non era per me pensai subito.
Le sale operatorie e luoghi affini non sono mai state un ambiente per me, per via di quell'anestetico di cui non so il nome, ma di cui riconosco con certezza l'odore, svenendo sul colpo. Tutto ciò che è ospedale mi da ansia; ho l'incubo degli aghi e la visione del sangue mi terrorizza. E, come se non bastasse, il mio inglese è davvero pessimo ed ho pure paura di volare.
Penso: qualcosa per chi conosce benissimo almeno tre lingue e adora gli aerei.
Un'occasione persa, pensai; uno di quei treni che passano una sola volta nella vita e che devi avere solo il coraggio di prendere al volo. Avrei avuto voglia solo di non avere tutte quelle carenze.
A notte fonda ci congedammo dandoci la buonanotte e l'appuntamento al giorno dopo, quarto dell'eroica corsa, e primo per me della scoperta di un sogno ad occhi aperti che non avrei mai potuto realizzare.
Avrei voluto dare una mano a quell'eroe normale, dal volto normale, la voce normale e gli abiti normali. Avrei voluto metterci del mio, peccato...
Andai così a dormire in quella notte di mezz'estate, con un agrodolce nell'anima. Uno strano sentimento doppio e contrastante che mascherava le mie emozioni. Ma peccato...