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Massimo P. 1

La Pazza Honk Kong! 

Uno dei tanti giorni di routine in ufficio, di quelli che cerchi di portarti avanti, per riuscire a rubare un quarto d’ora, uscire prima e magari farti un aperitivo con un’amica, per far due chiacchiere e distrarti un po’. Richiamò la mia attenzione il suono che segnala l’arrivo di una nuova mail; l’aprii, curioso e contemporaneamente speranzoso che non fosse altra carta da produrre. Non era così; era la richiesta da parte del Centro pediatrico Trapianti Midollo Osseo dell’ospedale di Padova di andare ad Hong Kong, a prendere un midollo osseo per una loro piccola paziente. Uhm… Hong Kong pensai, mica dietro l’angolo; stampai tutte le carte allegate, presi in mano una cartella di missione dove raccogliamo le carte per ognuno dei nostri viaggi e mi apprestai ad inserire i dati nel nostro database elettronico dove raccogliamo tutti i dati relativi ai nostri servizi.

 

Quando il database mi richiese la data di esecuzione del trasporto ebbi un sobbalzo; controllai meglio, era previsto tra due giorni! Una iniezione di adrenalina pura avrebbe avuto su di me un effetto più blando. Mi alzai subito in piedi e, col piglio più grintoso che potevo sfoderare, chiamai Patrizia, la nostra direttrice organizzativa. Le spiegai rapidamente di che si trattava, dicendole che, dovunque lei fosse, avrebbe dovuto aprire subito la mail e verificarla, poi ne avremmo discusso. Speravo che lei, che generalmente è più attenta di me, riscontrasse che magari non avevo capito bene! Appena chiusa la telefonata con Patrizia mi squillò il telefono, anzi insistentemente il beep beep dell’avviso di chiamata mi aveva assillato durante le ultime frasi con Patrizia. Risposi; dall’altra parte la voce mi disse: sono la dottoressa del centro trapianti di Padova, le ho appena mandato una mail per un trasporto di midollo da Hong Kong. Lo so che è a brevissimo, la prego ci aiuti, abbiamo appena ricevuto una nota che il donatore dopo quella data non sarà disponibile per un lungo periodo di tempo. Non possiamo aspettare così tanto, la nostra piccola paziente potrebbe non farcela, siamo nelle sue mani. Cosa rispondere ad una richiesta così? Se non: state tranquilli faremo del nostro meglio spero solo di trovare posto sui voli, mi metto subito all’opera conclusi, immediatamente! Aggiunsi per rafforzare il concetto. Grazie replicò la dottoressa, ci sentiamo appena ci sono novità, arrivederci. E mentre chiudeva la telefonata, prima che la comunicazione si interrompesse percepii un… meno male! Sorrisi ma non ebbi tempo di commentare neppure mentalmente, velocemente inserii i dati nel nostro database e  compilai la cartella di missione. Patrizia ritelefonò confermando che avevo visto bene, le riferii della telefonata con il centro trapianti e lei con il suo tono preoccupato che la contraddistingue ogni volta che non ha le idee chiarissime su come fare esclamò: ecco… e ora? Ed io: e ora cosa? Si prende e si va! E lei: si ma chi? Servirebbe uno con la valigia già pronta, e ci sono già un sacco di viaggi in programma in quei giorni, e poi i voli, per avere tutte le autorizzazioni siamo già in ritardo, ed anche con la procedura d’urgenza è necessario inviare quanto prima la documentazione, e poi è la settimana di Pasqua e al Ministero… La invitai a calmarsi ed a razionalizzare, convenni con lei che per prima cosa era necessario individuare chi poteva essere il volontario che poteva essere inviato. Lei fece una breve riflessione, farfugliando un po’ e poi disse, secondo me è la cosa migliore se ci vai tu. Mi diede una esauriente spiegazione incentrata sul fatto che era una destinazione per noi nuova, oltretutto molto lontana, serviva esperienza e quindi il candidato ideale ero io. Risposi solo se ritieni che sia la miglior soluzione no problem, la mia valigia è pronta! Ci distribuimmo i compiti sulle cose da fare, e chiudemmo la telefonata. Ero davvero teso, Hong Kong, memore della trasferta cinese di qualche anno prima, parlano un inglese distorto, tutte le scritte sono con quei caratteri incomprensibili, una piccola bimba che aspetta la sua rinascita, che responsabilità! Per trovare la forza di mettermi al lavoro mi bastò pensare, se hanno scelto me un motivo ci sarà. Feci tardi in ufficio per preparare la documentazione, nel frattempo Patrizia mi informò che il volo di andata era previsto alle 11.30 del giorno dopo. Finito di preparare tutto tornai a casa. Cena e tutti i preparativi prima di una partenza, controllo dei documenti, passaporto, soldi carte di credito, valigia doccia ecc.  lasciai tutto pronto vicino alla porta ed andai a letto. Stranamente feci una bella dormita, forse perché ero davvero stanco e sicuramente c’era anche un po’ di stress da smaltire, anche se al mattino mi svegliai presto, abbondantemente prima che la sveglia suonasse. Arrivai in ufficio dove Patrizia aveva già preparato tutti i documenti necessari, e prenotato gli alberghi. Nuova verifica di tutto e partenza per l’aeroporto, durante il percorso chiamai il centro trapianti dove mi rispose la stessa dottoressa che mi aveva contattato la sera prima. La informai che tutto era a posto, che sarei andato io, e che ero ormai prossimo alla partenza. Lei accolse la notizia con percepibile soddisfazione, ci salutammo con la consueta promessa di essere in contatto. Giunsi in aeroporto, il volo era in orario, ed anche la coincidenza a Francoforte. Dopo un volo davvero lungo atterrammo ad Hong Kong che era tarda mattinata. Disbrigate le pratiche di rito dogana e passaporti, ero a destinazione. Cercai la metropolitana, disbrigandomi nelle segnalazioni scritte con i due caratteri, quello cinese e quello per me “normale”. Trovai il treno, qualche fermata e poi la mia. Scesi dal treno ed arrivai in superficie. La città mi salutò con un solicello velato e mi avvolse in un abbraccio caldo ed umido, afoso. Per come avevo studiato l’albergo non doveva essere molto distante, cercai di orientarmi, e mi resi subito conto che tutto era scritto nei caratteri tipici cinesi, con un po’ di fortuna e l’aiuto del mio senso dell’orientamento in breve arrivai in albergo. Le operazioni di reception furono piuttosto lunghe perché poco prima di me era arrivata una scolaresca americana, con tanti ragazzini scalmanati che si sguaiavano nella ricerca della sistemazione, e già si lanciavano ammiccamenti tra maschi e femmine che promettevano a inciuci degni delle grandi manovre. Approfittai dell’attesa per inviare a Patrizia la conferma che ero arrivato in hotel.  Dopo aver a lungo ammirato questo gratuito spettacolo dello scibile umano, venne il mio turno ebbi finalmente le chiavi della mia stanza. Una breve corsa in ascensore ed arrivai in camera. Appariva più come un monolocale, un corridoietto ed un angolo cottura con tutta l’attrezzatura tavolino e sedie, proseguendo ancora armadio e si vedeva una vetrage. Ci arrivai, la camera normale con un bel letto e la TV ultrasottile attaccata alla parete. La vetrage altro non era che la delimitazione del bagno, ovvero un bagno a vista, mai visto! Immaginai cosa poteva essere un pernottamento in coppia. Non era il mio caso e la stanchezza si palesava, quindi cercai di fare un programma, anche perché nel frattempo si era fatto pomeriggio inoltrato. Tirai fuori la cartella di missione, cercai il foglio con le informazioni dell’ospedale e chiamai per confermare che ero arrivato, con la persona che mi rispose prendemmo accordi sull’orario cui  incontrarci il giorno seguente per il ritiro del prezioso midollo. Verificai che nella cucinetta del mio monolocale ci fosse il frigorifero e che fosse ottimamente funzionante, e ci riposi gli elementi refrigeranti, ancora piuttosto ghiacciati, che mi sarebbero serviti il giorno dopo per mantenimento della temperatura ideale delle cellule durante il trasporto. Riverificai la documentazione per accertarmi ancora una volta di avere fatto tutto. Avevo fatto tutto. Feci una riflessione su come spendere quello scampolo di tempo e decisi che, nonostante la stanchezza sarei andato a fare una passeggiata per vedere un po’ questa parte di mondo in attesa dell’ora di cena, così poi il sonno sarebbe stato più profondo e più ristoratore. Così feci, dopo una mezz’ora di girovagare tra strade e stradine guardando distrattamente le vetrine dei negozi che non offrivano nulla di interessante, attirarono la mia attenzione i tendoni di un mercato, decisi di andarci. Mi accolse un blend di odori forti di che passavano dalle spezie al pesce ai fiori alla carne via via che mi addentravo, e più in là le luci sfavillanti di una via piena di negozi. Ne fui molto attratto, e nonostante non sia un grande amante dello shopping decisi di andare a vedere. Via via che mi avvicinavo alla sfolgorare delle luci mi rendevo conto che era sempre più difficoltoso proseguire a causa della folla che popolava l’intera strada. Solo una volta a New York avevo visto qualcosa di simile, ma meno intenso. Raggiunsi quella strada e mi resi conto che non era una sola strada ma un piccolo quartiere con contrade e traverse, tutte ricche di luci, di insegne di vetrine con prodotti d’ogni genere ma prevalentemente elettronica. Su una delle strade notai un attraversamento rialzato, non potevo perdermi quella vista, lo raggiunsi, e ci salii. Da quella prospettiva la vista era stupefacente, una marea informe e brulicante di persone illuminate di colori diversi, delle loro sfumature, un po’ come le api in un arnia. Rimasi ad osservare per un po’ questa varietà umana. Poi controllando l’orologio me ne andai, uscii dal quella trappola umana e ritrovate delle strade più vivibili mi diressi verso l’albergo, con l’occhio aperto e attento per cercare un posto che mi ispirasse per mangiare qualcosa. Mangiai leggero e frugale in un ristorante a buffet, e tornai in albergo, controllai che nel frigorifero gli elementi refrigeranti stessero ghiacciandosi, sistemai la sveglia e mi lasciai sopraffare dal sonno. Il mattino seguente complice la stanchezza da smaltire ed il fuso orario mi svegliai che era tardi, già ora di dirigermi all’ospedale. Sapevo che mi sarebbe servita circa un’ora e mezzo e considerato che era città che non conoscevo e che per via delle sue culture e delle indicazioni per me poco fruibili poteva, seppur involontariamente, essermi ostile misi in preventivo due ore, mica potevo rischiare di fare tardi all’appuntamento con la vita, che non era neppure la mia… e quando si per gli altri bisogna far meglio che se fosse per noi! Preparai tutte le mie cose, solo per ultimo presi gli elementi refrigeranti li riposi con cura nel contenitore da trasporto controllai di non aver lasciato nulla. Un ultimo sguardo a quella stanza così particolare e poi scesi in strada; destinazione ospedale. Dopo un’oretta e mezzo abbondante di viaggio attraverso questa nuova città, che così ebbi modo di vedere un po’, giunsi all’ospedale. Girai un po’ per la cittadella ospedaliera e alla fine, non senza difficoltà raggiunsi il luogo dove mi avrebbero consegnato le preziose cellule midollari. Il luogo era un laboratorio di ematologia, molto simile ai nostri europei, anche negli spazi angusti. Mi accolse una infermiera che non parlava inglese, ma solo la sua lingua, riuscii a farmi capire e mi lei mi fece cenno di aspettare. Dopo qualche minuto arrivò una dottoressa che mi disse in un inglese molto addolcito dalla musicalità del cinese, che a breve sarebbe stato tutto pronto. Mi chiese se avevo bisogno di qualcosa, risposi di no! Ringraziai sorridendo, volle accertarsi che avessi con me gli elementi refrigeranti e che fossero sufficientemente ghiacciati. Mi invitò a sedermi e mi disse di aspettare. Così feci, mi sedei su di una sedia girevole un po’ vissuta, tirai fuori e appoggiai sul tavolo la mia cartella di missione così da avere a portata di mano tutti i documenti. Dopo qualche minuto, che in realtà a me sembrarono tanti, tornò la dottoressa con un contenitore plastico tipo vaschetta in cui aveva adagiato le preziose sacche. Procedemmo alla verifica, tutto era a posto, feci notare che mancava un documento, peraltro molto importante per il trasporto, mi disse di non preoccuparmi che lo avrebbe fatto preparare subito. Non mi preoccupavo per il mio volo avevo tempo in abbondanza, anche se in questi casi il tempo non è mai troppo. In effetti la dottoressa col suo fare un po’ sufficiente tornò dopo poco, aveva predisposto il documento mancante, mi assicurai che fosse corretto, chiesi se non fosse stato necessario averlo anche in caratteri cinesi, mi disse che secondo lei no, ma per sicurezza me lo avrebbe fatto. Fu una intuizione geniale, quel documento in cinese si rivelò poi preziosissimo. Si allontanò ancora e dopo un po’ ritornò! Aveva in mano un foglio su cui erano impressi fitti fitti i caratteri cinesi, me lo porse con fare gentile, mi sorrise come dire è tutto? Sorrisi anche io ringraziai, chiesi se potevamo farci una foto ricordo, acconsentì mostrando un certo orgoglio, forse fu la richiesta che più incontrò il suo favore. Facemmo qualche foto e poi mi congedai. Ritrovai agevolmente l’uscita del reparto e mi diressi verso l’uscita dell’ospedale, non quella da cui ero entrato. M’imbattei in un tabellone con una pianta dell’ospedale, fotografai anche quella, non capita spesso di andare ad un ospedale a Hong Kong, ed allora quel momento speciale andava immortalato. Poi mi diressi in aeroporto, prima della partenza del volo avevo ancora poco più di cinque ore, quindi potevo procedere senza fretta. Avvisai  il nostro centro operativo e il centro trapianti di Padova che avevo ritirato il midollo e che tutto era a posto. Il trasferimento all’aeroporto fu tranquillo, il percorso scorreva apparentemente veloce, in realtà del solito usuale passo. Quando non hai tempi stretti tutto sembra andare veloce, invece quando il tempo stringe anche il più piccolo intoppo sembra essere un grande problema. Su questa riflessione e sulle immagini che mi scorrevano davanti di quella, per me, originale città, arrivai all’aeroporto.  Entrai nella grande sala, cercai il monitor con le informazioni dei voli, quello scritto con caratteri che potevo comprendere, individuai dove si trovava l’area check-in del mio volo, la raggiunsi, sui banchi che identificavano la compagnia che mi avrebbe riportato indietro c’era un cartello che avvisava che il check-in sarebbe stato aperto non prima di un’ora e mezza. Segno che ero davvero in anticipo, non mi preoccupai, ero già lì. Visto che avevo saltato colazione e pranzo pensai che l’attesa poteva essere propizia per mangiare qualcosa, trovai un chiosco che mi ispirava fiducia, scelsi qualcosa e mi sedetti, attirò la mia attenzione una pubblicità che informava della connessione wi-fi gratis. Dopo aver avidamente mangiato un dolcetto al cocco, tirai fuori il computer e ne approfittai per controllare le e-mail, e scrivere qualche commento sul mio profilo facebook. Dalla mia posizione potevo anche tenere d’occhio i banchi check-in di mio interesse, e quindi ogni tanto ci buttavo attentamente lo sguardo per vedere quando fossero iniziate le operazioni. Quando iniziai a vedere un po’ di movimento di personale addetto radunai le mie cose, pagai il conto cercando di spendere più possibile di moneta spicciola e mi avviai verso il check-in. Quando fu il mio turno presentai il passaporto ed i biglietto, l’addetta una signora dai tratti asiatici, non giovanissima, mi guardò, e poi iniziò con le solite domande di rito, posto corridoi o finestrino, bagaglio da spedire, al mio no, mi chiese di mostrare il bagaglio a mano. Lo feci alzando, affinchè potesse vedere di là dal bancone, il mio trolley su cui era anche incastrato il contenitore con le preziose cellule motivo del mio viaggio. Apparve subito incuriosita da quel contenitore. Mi chiese di cosa si trattava, gli spiegai che si trattava di cellule midollari che sarebbero servite in Italia per essere trapiantate ad una bimba ammalata di leucemia. Apparve molto sorpresa dalla mia spiegazione e soprattutto scrutò con più attenzione il mio contenitore, e mi si rivolse in modo molto austero e mi chiese, dove le avevo prese e se davvero, come c’era scritto chiaramente sul contenitore,  non poteva passare dal controllo raggi X. Risposi che le avevo prese in un ospedale di Hong Kong, che realmente quel contenitore non poteva passare ai raggi X e le feci cenno di attendere, aggiungendo che le avrei mostrato un documento che attestava tutto quel che le stavo dicendo. Tirai fuori la mia cartella di missione, cercai il documento, glielo mostrai. Lo lesse attentamente, probabilmente più volte visto il tempo che ci impiegò.  Senza proferire più parole prese in mano il telefono e iniziò una serie di telefonate. Che io ovviamente non compresi. Poi mi disse che avrei dovuto attendere e mi invitò a sedermi nelle sedie della sala di attesa. Chiesi quale era il problema e lei rispose che era tutto a posto, di sedermi di attendere. Io replicai che se era tutto a posto doveva darmi le carte d’imbarco, altrimenti dirmi quale fosse il problema. Mi guardò spazientita,  si alzò dalla sedia e prese in mano il mio biglietto, il mio passaporto ed il foglio che attestava l’origine delle cellule, le caratteristiche del trasporto e le mie responsabilità e si allontanò. Restai in piedi guardandola allontanarsi. Passarono circa 5 minuti, che a me parvero lunghissimi, poi la vidi tornare accompagnata da un uomo di razza africana dall’aspetto davvero imponente. Mi si avvicinarono e mentre l’addetta riprendeva il suo posto dietro il bancone del check inn  l’uomo mi chiese qual fosse il problema. Risposi che da parte non vie era nessun problema, stavo per dire che eventualmente qualche problema ce lo poteva avere la sua collega, ma non mi diede il tempo, con frase dai modi spicci accompagnata da un gesto perentorio mi disse di sedermi ed aspettare. Rimasi un po’ perplesso, e mentre sempre con i suoi modi spicci si allontanava, lo richiamai e cercando di mostrarmi calmo gli dissi, non sarà venuto fin qui per invitarmi a sedermi, e poi comunque mi dovete spiegare qual è il vostro problema perché non mi date le carte d’imbarco, mi disse che era tutto a posto e che nel giro di poco avrei avuto le carte d’imbarco. Bene, risposi, poco quanto? Con una sufficienza che mi infastidì veramente, mi disse: un quarto d’ora. Pur avendo ben chiaro che per loro c’era qualcosa che non andava, decisi in quel momento di non insistere oltre e mi sedetti, proprio di fronte al banco check inn dove mi ero inizialmente recato, anche per poter controllare tutti i movimenti. Passarono oltre 20 minuti senza risultato, decisi di aspettare ancora, anche se mi era sufficientemente chiaro che di me non se ne stavano occupando. Aspettai ancora qualche minuto, durante il quale chiamai Patrizia per spiegarle cosa stava accadendo e se lei avesse idea di come risolvere il problema. Mi alzai e seppur cercasse con indifferenza di evitarmi, intercettai l’omone dai tratti africani che si dava un gran da fare nel dirigere le operazioni, sembrava essere uno più importante degli altri. Lo chiamai e gli chiesi se avesse novità per me. Mi disse di no, mi invitò ancora a sedermi che quando avrebbe avuto novità sarebbe venuto lui ad avvisarmi. Conoscendo bene le abitudini negli aeroporti ovvero un continuo rimbalzarti fino a ridurti alla loro ragione per il tuo sfinimento,  dicendo di fare come dicono loro che poi qualcuno “dopo” sistemerà le cose. Non mi lasciai sopraffare, gli ribadii che era necessario che io avessi le carte d’imbarco per poter procedere verso il gate. Rinnovò, con tono un po’ seccato, l’invito a sedermi. Pur sentendomi preso in giro e quindi spazientito, cercai di mostrarmi calmo, ma determinato. Gli replicai che iniziavo ad essere un po’ preoccupato perché era già trascorsa più di un’ora e la situazione non si sbloccava. Ma lui non sembrò dare molto peso alla mie parole e per l’ennesima volta fece per allontanarsi. A quel punto fui io a spazientirmi, mi avvicinai a lui e con un gesto fin troppo evidente lessi il suo nome sul tesserino che aveva appeso alla giacca. La reazione fu sopra alle righe, si tolse il tesserino, e mi chiese perché avevo letto il suo nome. Tra me e me ero contento perché il mio gesto l’avrebbe scosso dalla sua inettitudine. Cercando di mostrare tutta la calma gli dissi che non capivo cosa stava accadendo, che se avesse avuto bisogno di ulteriori spiegazioni ed informazioni avrei potuto fornirgliele, ma se continuava a dirmi di stare seduto e non faceva nulla, questo poteva diventare un problema. Gli spiegai che dalla mia missione dipendeva la vita di una bimba e se avessi fallito avrei dovuto dare delle spiegazioni, e ovviamente, la prima spiegazione sarebbe stata fornire il suo nome. Ebbe un moto di stizza e si allontanò di nuovo. Ed io mi sedetti di nuovo. Dopo un altro po’ di tempo che non saprei quantificare, ma che a me sembrò lunghissimo, l’uomo tornò accompagnato un’altra donna, dai tratti asiatici con influenze caucasiche. Mi si avvicinò e si presentò come responsabile locale della compagnia e mi disse che quel che io volevo era impossibile da ottenere. Io risposi che non avevo chiesto nulla di particolare. Lei riprese dicendo che non era possibile eludere i controlli di sicurezza, quindi o il contenitore passava attraverso i raggi X oppure io non potevo prendere il volo. La guardai esterrefatto. Iniziai da capo con le spiegazioni, chi ero, cosa facevo, l’origine delle cellule midollari, il perché non potevano passare ai raggi X e le conseguenze se io non fossi giunto in tempo. Vidi la donna cambiare espressione, la sua faccia si fece cupa, l’espressione grave. Mi disse, capisco bene, questa è una situazione molto grave, ma le disposizioni sono ferree, non si può assolutamente derogare. Replicai che non era così, che le norme internazionali IATA (che è l’organismo che associa le compagnie aeree del mondo e che detta le regole) prevedono una deroga per questi trasporti. Lei disse ancora con ne sapeva nulla, e che nessuno l’aveva mai avvertita. Io le feci gentilmente notare che se avesse avuto a disposizione un manuale operativo IATA le avrei fatto vedere che quel che dicevo trovava riscontro in quel manuale. Inoltre nella mia prenotazione c’era una informativa al proposito ed inserita prima della partenza, andammo assieme ad uno dei terminali e verificò che in effetti c’era una nota al riguardo che non era evidentemente stata vista dai suoi colleghi di prima. La sua espressione iniziò a farsi preoccupata. Non lo disse ma mi sembrò di leggere nel suo viso, proprio oggi qui ci doveva essere un trapianto?  Compresi bene che si trovava in grande confusione comprendendo bene che tutto quel che dicevo era sempre suffragato da documenti ufficiali e quindi ero meritevole di credito e di aiuto, ma si trovava nelle difficoltà di assecondarmi a causa delle severe regole. Mi guardò e mi disse: Mi rendo conto di tutto ma io qui ho delle regole severissime e non posso permettere l’imbarco di materiale senza effettuare i controlli di sicurezza, aggiunse, anche se ti lasciassi andare io, il personale del controllo chiamerebbe la polizia e sarebbe ancora più complicato. Le credetti e spiegai ancora che non era necessario eludere i controlli di sicurezza, questi potevano essere fatti, aprendo il contenitore facendoli a vista, ed al limite passare il contenitore vuoto sotto i raggi X ma assolutamente non le sacche. La mia interlocutrice capì bene che non avrei fatto un passo indietro nei miei propositi, e mi chiese ulteriormente, ma è la prima volta? Ed io risposi no… almeno cinque sei volte al mese. Lei ancora. Qui ad Hong Kong? Ed io: in ogni parte del mondo. Lei di nuovo: capisco ma veramente non so cosa fare, come posso aiutarti? Bèh già il fatto che volesse aiutarmi mi rincuorò, ma che non sapesse come, e che non fosse disposta ad accogliere le mie richieste, meno; e molto meno ancora quando guardai l’orologio e notai che mancava meno di un’ora alla partenza del volo. Era necessario risolvere la situazione ed alla svelta. Anche lei si rese conto che il tempo era poco e che non poteva più tergiversare perché nel frattempo avevo preso anche il suo nome, e le avevo spiegato che se la bimba fosse morta qualcuno avrebbe chiesto spiegazioni a lei ed al suo collega. Cercò di dirmi che l’unica responsabile era lei, ma io aggiunsi che se fosse stato necessario avrei fornito tutti i nomi in mio possesso poi le autorità competenti avrebbero accertato, ma aggiunsi anche che non ero lì per fare l’inquisitore, ma per salvare la vita di una bimba che poteva essere anche sua figlia. Questa argomentazione fu di sicuro effetto, ma non abbastanza da indurla a rivedere la sua posizione. A quell’ora, stante la differenza di tempo dovuta al fuso orario non potevo neppure proporre di chiamare l’ufficio centrale della compagnia qui in Europa, ero davvero solo. Solo col mio carico prezioso, che rischiava di non partire per una ottusa burocrazia. Solo con la vita di quella piccola che rischiava di non rinascere a causa delle regole. Ma non c’era tempo per farsi prendere dalle insicurezze. Bisognava trovare una soluzione e trovarla subito! Ma non mi veniva proprio in mente, avevo mostrato tutti i documenti, avevo dato tutte le spiegazioni, avevo minacciato ripercussioni ma non era valso a nulla. Cosa potevo inventarmi di più? A chi chiedere aiuto? Vuoto mentale. Lei davanti a me con lo sguardo ancora più vuoto, che sperava forse che di fronte allo spettro di perdere il volo acconsentissi a sottoporre le cellule ai raggi X, io che non ci pensavo neppure, ma anche che non sapevo come uscirne, visto che neppure la minaccia di una attribuzione di responsabilità in caso di problemi aveva fatto un sufficiente effetto. Serviva un’idea e serviva subito! Notai dall’altra parte del salone un equipaggio al gran completo che si avviava a prendere servizio per operare un volo, ebbi l’idea geniale, l’intuizione! Il mio sguardo deve essersi illuminato perchè la mia interlocutrice mi disse, possiamo fare i controlli di sicurezza? Ed io, no mi dispiace ma non si può proprio, e pensai tra me: alla piccola bimba voglio portare le cellule belle vive mica un bicchiere di acqua, quindi guardandola in modo intenso, con tutta la mia grinta e determinazione dissi: Non possiamo fare i controlli ai raggi X ma so come puoi aiutarmi. Prima che potesse proferire parola aggiunsi: Il capitano dell’aereo, possiamo chiedere a lui l’autorizzazione, del resto è la massima autorità, riconosciuta anche in via ufficiale e quindi se lui fosse d’accordo potremmo procedere, perché lui si prende la responsabilità di ciò che sale a bordo in deroga. Dal suo volto mentre parlavo capii  che l’idea non le dispiaceva, ci pensò un attimo ed annuì; poi replicò, e se non fosse d’accordo? Risposi: lo sarà sicuramente, sono professionisti, seri, preparati, conoscono bene le regole e soprattutto sono molto sensibili, poi in Europa questi trasporti sono pratica quasi quotidiana. Va bene, rispose, l’equipaggio arriverà tra pochi minuti, faremo come suggerisci tu! Ce l’avevo fatta! L’avevo convinta, avevo trovato la strada! Anche se restava da chiedere l’autorizzazione al comandante, ma ero sufficientemente convinto di potercela fare anche se la certezza non l’avevo. In quei minuti che restai ancora in attesa mi passarono per la mente mille pensieri, o meglio mille volte gli stessi pensieri,  che tipo sarà stato questo comandante? Avrebbe capito? Quali parole usare per spiegare tutto? Telefonai a Patrizia, che nel frattempo mi aveva mandato almeno sei sms per aggiornarla, anche lei era molto preoccupata, cercai io, di rassicurarla.  Finalmente arrivò l’equipaggio del mio volo, riconobbi le divise quando si appalesarono in fondo al salone. Mi alzai, mi raggiunse subito l’ultima mia interlocutrice mi disse di aspettare che avrebbe parlato prima lei col comandante. Io gli dissi che era fuori discussione, mi disse guardandomi seria, fidati, so come funziona, voglio aiutarti, anche io non vedo l’ora che tu te ne vada! Anche se mi costò un po’ decisi di fidarmi. Mi appostai però abbastanza vicino al gruppetto perché se avessi avuto il sospetto o anche solo la sensazione che qualcosa non andava bene sarei potuto intervenire, cosciente che il capitano dell’aereo era la mia ultima chance. Li vidi parlottare un po’ poi mi fecero cenno di avvicinarmi, salutai il comandante, un uomo dal classico aspetto nordeuropeo, sulla cinquantina, alto biondo slanciato, il quale mi chiese di che si trattava, ed io: trasporto un midollo osseo che deve essere trapiantato su una bimba in Italia, ma questo non può passare attraverso i raggi X altrimenti si danneggerebbe irrimediabilmente, e il trapianto sarebbe totalmente inefficace. Sì mi disse il capitano, so bene! Mi è già capitato altre volte, su altre tratte. Quindi nessun problema dissi io, mi porta via? Certo che sì rispose lui, se una piccola ha bisogno di noi possiamo tirarci indietro? Aggiunse, anzi venga con noi, così posso spiegare io agli addetti alla sicurezza.  Lanciai uno sguardo fulminante alla donna con cui avevo a lungo discusso che diceva molto, non dissi una parola perché poteva rompere l’equilibrio creato, ed in quei momenti è solo il risultato che conta e non le, seppur legittime, rivalse.  Anche lei non disse una parola ma mi sembrava alleggerita di una responsabilità forse troppo grande per la sua mediocre vita di addetta ai servizi di terra di un aeroporto che forse non ha mai lasciato. Procedemmo alla volta dell’aereo, io insieme al comandante ed al capo equipaggio davanti e tutto il resto dell’equipaggio dietro, passammo attraverso il controllo passaporti ed alla dogana, parlarono a lungo tra l’addetto, il comandante e colei che mi aveva a lungo trattenuto, capii che qualcosa ancora non andava, mi chiesero di mostrare la certificazione lo feci, ma mi resi conto, dallo sguardo vacuo, che l’addetto non era in grado di capire, e lo dedussi dal fatto che spesso era la referente di terra a fare da interprete anche col capitano. Ma qui ero preparato e quindi forte, tirai fuori la certificazione che mi ero fatto fare in ospedale, quella in caratteri cinesi e la mostrai, l’addetto almeno questa volta aveva chiaro di che si trattava e acquisito il nulla osta del capitano non fece più problemi. Via libera, non c’erano più ostacoli. Il capitano vedendomi un provato mi chiese se volevo salire direttamente a bordo, accettai ringraziandolo. Mi sedetti al mio posto, tranquillo, posizionai l prezioso contenitore sotto il sedile davanti al mio, sistemai il bagaglio,  sicuro che ormai ce l’avevo fatta. Una hostess gentilissima venne e mi portò dell’acqua che bevvi tutta d’un fiato, poi un altro bicchiere a piccoli sorsi. Da lì a poco iniziò l’imbarco degli altri passeggeri e poi le solite operazioni di routine quindi la partenza, quando l’aereo si staccò dal suolo tirai il classico sospiro di sollievo, ma molto molto profondo. Era davvero andata!  Il volo si svolse tranquillo, con il personale di bordo davvero gentile che si prese cura di me con una particolare attenzione, mangiai qualcosa cercai di dormire un po’. Uno scalo per la coincidenza e poi un volo ancora. Atterrai a Venezia in una fresca mattina di Aprile, era il mercoledì prima di Pasqua. Ai piedi della scaletta dell’aereo, Roberto uno dei nostri attivissimi volontari mi aspettava con una delle nostre macchine di servizio. Una corsa fino all’ospedale di Padova, giungemmo al laboratorio di ematologia dove la direttrice del centro trapianti ci attendeva e ci accolse con un gran sorriso e con tutta la gratitudine, che fu ancora di più dopo il racconto delle vicissitudini passate in aeroporto. Meno male che c’è andato lei, che con la sua capacità le sua esperienza è riuscito a risolvere tutto, se no chissà come sarebbe andata! Tutto è bene quel che finisce bene, commentai! Un abbraccio alla bimba ed ai suoi genitori. Congedandomi dissi Auguri di buona Pasqua. Pasqua di resurrezione per noi cattolici, ed io ero cosciente che questa bimba, grazie al suo donatore, ma un po’ anche a grazie a me poteva risorgere.

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