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Massimo P. 1

Era una sera come tante, sfidando il primo buio la macchina silenziosa e veloce macinava chilometri; a bordo io e un mio omonimo Massimo, chiacchieravamo per ingannare il tempo ed eludere la stanchezza.

Era una sera come tante, sfidando il primo buio la macchina silenziosa e veloce macinava chilometri; a bordo io e un mio omonimo Massimo, chiacchieravamo per ingannare il tempo ed eludere la stanchezza.

Nulla poteva far lontanamente pensare che da lì a qualche ora quella sarebbe diventata la giornata più tragica e complicata della mia vita.

Tutto avvenne durante il viaggio che era iniziato di prima mattina partendo da Pisa, dove mi ero incontrato con Massimo e poi avevamo proseguito per Genova, dopo aver preso in custodia due sacche di midollo osseo appena prelevate da un donatore volontario, con l'incarico di trasferirle all'ospedale di San Giovanni Rotondo, quello voluto da San Pio, dove sarebbero state trapiantate su un paziente affetto da una forma di leucemia.

Per me sono viaggi di routine da qualche anno, da quando assieme ad altre persone avevamo fondato il Nucleo Operativo di Protezione Civile, che poi si è specializzato in Logistica dei Trapianti. Massimo invece era un aspirante volontario che, dopo un breve corso di formazione teorica, era finalmente all'opera sul campo: con l'entusiasmo di tutti i volontari e con la voglia di imparare presto e bene per poter essere quanto prima autonomo. Nel corso della giornata avevamo parlato molto, o meglio io avevo parlato molto. Per cercare di rispondere a tutte le domande del mio compagno di viaggio, e quel giorno allievo, che per la verità prometteva molto bene.

Sensazione che confermai alla nostra coordinatrice nel corso di una delle telefonate che lei mi fece per chiedere come andava e se tutto era a posto; con l'occasione mi volle anche aggiornare che era in corso un prelievo di organi a Siena e che forse i reni sarebbero stati destinati a Pisa. Chiusi la conversazione chiedendo di tenermi informato perché, se necessario, sarei potuto uscire ad Arezzo e, allungando un po' la strada, arrivare a Siena, prendere gli organi e trasportarli a Pisa, visto che comunque ci dovevo andare per riaccompagnare a casa il mio compagno di viaggio. Il quale, molto attento, percepì subito il senso della telefonata e prima che io potessi spiegare, fu lui stesso a proporre “se necessario ci andiamo noi... che vuoi che sia un centinaio di chilometri in più, a questo punto che ne abbiamo già fatti duemila”; apprezzai molto la sua disponibilità e sorrisi. Fu la giusta occasione per spiegare a Massimo che, in queste cose, le stime dei tempi sono sempre molto indicative e che spesso, ciò che si suppone possa accadere in poco tempo, necessita di qualche ora.

Eravamo intanto sul grande raccordo anulare di Roma e i chilometri progredivano; noi continuavamo le nostre chiacchiere, che erano la giusta occasione per informare Massimo sulla nostra attività, su come si svolgevano le missioni, sulle accortezze da usare. Eludevamo bene la stanchezza, io con la mia voglia di raccontare e lui con la sua sete di sapere e d'imparare. Era stata proprio questa umile voglia di mettersi a disposizione dopo aver bene imparato, che mi aveva fatto buona impressione di Massimo; impressione rivelatasi giusta perché, ancora oggi, è uno dei nostri volontari più attivi e disponibili. Massimo, che era anche molto attento, rilevò che eravamo giunti nei pressi di Arezzo e che dell'organo da trasportare non avevamo avuto più notizie; erano circa le 22.30 e, considerando che era ancora un orario normale, decisi di chiamare Patrizia, la nostra coordinatrice, nonché mia sorella, per chiedere se vi fossero novità; lei mi disse che, al momento, l'unica cosa che sapeva era che si erano resi necessari degli esami per determinare l'idoneità dell'organo e solo dopo aver acquisito i risultati avremmo saputo l'eventuale destinazione. Chiesi ancora come era la situazione dei reperibili e se nelle scorse ore vi fosse stata attività intensa; lei rispose di no e che c'era disponibilità di volontari. Chiudemmo la telefonata dicendo che comunque io avevo ancora almeno tre ore di strada e che quindi potevamo riaggiornarci.

Massimo capì che la seconda missione non ci sarebbe stata e fu quasi dispiaciuto di mettere a freno l'entusiasmo. Io spiegai che le variabili e gli imprevisti in queste missioni sono tanti ed aggiunsi che, considerando che era dal mattino che eravamo in missione e che avevamo percorso oltre duemila chilometri... poteva bastare. Massimo annuì ma non totalmente soddisfatto. Parlammo ancora, spiegai un po' come funziona la gestione dei volontari, riferendomi all'ultima parte della telefonata.

Eravamo giunti, nel frattempo, quasi a metà strada tra Firenze e Pisa quando suonò di nuovo il telefono: Patrizia mi informava che gli esami avevano rivelato che gli organi erano idonei al trapianto e che erano destinati a Pisa. Io gli rappresentai che ero già a metà strada tra Firenze e Pisa e che se lei lo avesse ritenuto necessario sarei anche tornato indietro ma, considerato che ero in giro dal mattino e che avevo già tanti chilometri all’attivo, se ci fossero state altre risorse... Patrizia mi rassicurò, facemmo assieme una breve valutazione delle disponibilità e decidemmo di chiedere a Franco di questo viaggio.

Franco era un'altro dei nostri volontari particolarmente attivi; era un mio amico di vecchia data, col quale condividevamo la passione per l'organizzazione dei concerti. Fu proprio durante uno di questi concerti, esattamente un Festival Blues che si tiene annualmente a Pistoia in estate, che parlando mi chiese di raccontargli meglio questa avventura dei trasporti legati ai trapianti e ne rimase così affascinato che volle provare anche lui.

In breve divenne un volontario attivissimo e sempre disponibile; altri amici raccontano che ne andasse fiero di questa sua opera sociale. Non ho nessuna difficoltà a crederlo, vista la sua grande disponibilità e la serenità che sapeva infondere negli altri volontari e nei medici con cui aveva occasione di interfacciarsi.
Nel frattempo eravamo arrivati a casa di Massimo, lo salutai calorosamente, lo ringraziai per la compagnia e la disponibilità e lo informai che, quanto prima, lo avrei nuovamente cercato per altre missioni. Rispose: “non vedo l'ora, io sono già pronto!”.

Mi diressi di nuovo verso Firenze, verso casa, pregustando il sonno ristoratore.

Durante il viaggio di ritorno attesi di essere in zona cittadina per essere sicuro che il telefonino “prendesse” bene e poi chiamai Franco! Ciao Franco sono Massimo! - Ohhh che piacere sentirti “icchècifai” in giro a quest'ora! - Chiese con la sua inconfondibile parlata. Intanto ti ho chiamato, così non potrai più dire che dopo che hai deciso di fare il volontario ti chiamo solo per affidarti missioni! - Aggiunsi - sono in missione anche io, di ritorno da San Giovanni Rotondo! - Da San Giovanni Rotondo?!? - incalzò lui incredulo - ne hai fatta di strada e ora dove sei? - Quasi a casa risposi io, ma ho approfittato di questo momento per salutarti. (…se avessi sospettato che era l'ultimo saluto avrei fatto in modo che durasse in eterno!) - E te come va? Dove sei? – replicai. E lui - sto ripartendo dall'ospedale... è stato il solito carosello, vai al secondo piano... poi vai al meno uno... ma alla fine ho rintracciato gli organi, me li hanno consegnati adesso, sto ripartendo, vado a Pisa e li consegno!

Una routine, un viaggio fatto tante e tante volte, di giorno... di sera... di notte... con il sole... con la pioggia... un semplice maledetto trasferimento.

Va bene – conclusi - sono quasi a casa... fai buon viaggio - e lui - Tranquillo è tutto a posto, tanto è ora di chiudere perché tra pochissimo il telefonino comincia a perdere il segnale. Ci salutammo. Per l'ultima volta! Ma questo lo scoprii solo dopo!

Mi ero appena addormentato quando il telefono suonò... essendo il responsabile di questa struttura il mio telefono deve sempre restare acceso, perché le richieste possono arrivare in qualsiasi momento.

Affannosamente mi alzai e risposi. Era Patrizia che con voce angosciata mi disse - ho la sensazione che sia accaduta una disgrazia! Mi ha telefonato il coordinamento regionale trapianti che sono stati avvertiti dalla Polizia Stradale che sulla superstrada vicino a Firenze c'è stato un gravissimo incidente ad una macchina che trasportava organi. Ho provato a chiamare Franco ma non risponde! Le parole di Patrizia mi svegliarono più di una doccia gelata. Io che sono sempre ottimista e che so che talvolta è difficile rispondere al telefonino, pensai che forse Franco era in una situazione difficile. Franco era una persona esperta e sopratutto molto coscienziosa; ci eravamo parlati poco prima al telefono, era tutto a posto! Questo mi fece sperare che quel che appariva non potesse essere vero… e soprattutto, in quelle situazioni, ti attacchi ad ogni speranza, anche la più flebile, per tentare di scongiurare una così terribile realtà! Chiesi a Patrizia di insistere a chiamare i numeri di Franco e la rassicurai che io avrei fatto altre indagini. Per la delicata attività che da tanti anni facciamo, abbiamo maturato tanti buoni rapporti con le istituzioni, anche con la Polizia Stradale. Chiamai la centrale operativa... il telefono squillò a lungo... - pronto sono Pieraccini - ...qualche istante di silenzio…, l'invito a restare in linea; un po' di secondi che sembrarono ore! tanta era l'ansia! Poi di nuovo una voce, non la stessa di prima - pronto Pieraccini? - Sì risposi! - Dall'altra parte riprese - mi dispiace... mi dispiace davvero. - Rimasi atterrito, sembrava sparire ogni dubbio, ogni minima flebile speranza, ogni ombra. Cercai di farmi coraggio, raccolsi tutta la mia forza e tentai di recuperare un po' di lucidità... riuscii a chiedere - ma siete sicuri? Di che macchina si tratta? - La risposta pacata, cortese, quasi compassionevole - sai Pieraccini, le vostre macchine le conosciamo tutte... è la Toyota station wagon, quella più piccola di colore argento!
Il mio cuore iniziò a palpitare in modo convulso, i colpi erano ritmici, forti, come quasi volesse uscirmi dal petto. Le idee si rimescolarono ancora di più, se mai fosse stato possibile.
Iniziai a sudare, mi sedetti un attimo per terra, sul tappeto. Trovai solo la forza di chiudere la telefonata, ringraziando il mio interlocutore ed informandolo che a breve sarei andato sul posto.

Solo il tempo di tuffarmi nei vestiti, e nella mia mente, che stava affannosamente tentando di dominare gli istinti dell'organo vitale; affiorò chiaro, come una scritta gigante, un pensiero: “i reni!”. Richiamai subito la centrale operativa della Polizia Stradale... - pronto sono ancora Pieraccini - dissi leggermente concitato! - Si dimmi - disse la voce con cui avevo già parlato poco prima. - A bordo della macchina ci sono due reni che devono essere urgentemente portati a Pisa per essere trapiantati! -. La risposta fu – Sì siamo al corrente, i colleghi sul posto se ne stanno occupando! -. Ed io – che vuol dire occupando? vanno portati subito, potete aiutarci? altrimenti cerco di organizzare un'altra macchina, ma voi potete capire... - Riprese il mio interlocutore - non preoccuparti, per questo certo che ti aiutiamo! - Grazie! - ripresi, poi dissi – sono destinati a Pisa ospedale Cisanello, sono due contenitori! Mentre parlavo sentivo il rumore indefinito, quasi gracchiante, di conversazioni radio in sottofondo. Poi dall'altro capo del telefono - Ho già inviato un'altra delle nostre macchine che provvederà quanto prima a trasportarli dove ci hai indicato. Coraggio! sei tenace e capace, ma in questo momento serve tutta la tua forza d'animo! - Mi uscì solo un grazie strozzato, non salutai neppure, chiusi il telefono.

Adesso avevo un'altro compito, dare a Patrizia questo dolore. Lei, che è notoriamente ansiosa, non richiamava, forse come me attaccandosi a tutte le più flebili speranze, lei che con Franco era diventata così amica, scherzavano assieme, si burlavano, ma erano anche confidenti; un bel rapporto, quasi strano che si fosse creato tra un uomo ed una donna. Erano però anche una perfetta squadra nel nostro servizio di Volontariato, si aiutavano, si sostenevano nelle lunghe notti passate assieme, in attesa che fossero completati i prelievi di organi, e poi spesso un caffè all'alba e via, ognuno al proprio lavoro. Come darle questa notizia, che la avrebbe devastata! così come ero devastato io... forse di più. Perché Patrizia è una donna speciale, dietro quella scorza da dura si nasconde una persona forte ma sensibile e tenera negli affetti.
Non avevo più coraggio, ma solo recuperando un po' di forza composi il numero... il telefono non squillò neppure “allora?!” mi interrogò... con voce sommessa risposi - pare che sia stato un terribile incidente, forse è meglio che io vada a vedere... magari si sono sbagliati, dissi. Lei rispose - è l'unica cosa da fare... - riprese... - ci vediamo a Certosa. - Non replicai, chiudemmo ambedue il telefono.

L'uscita dell'autostrada di Firenze Certosa era il punto d'incontro naturale per noi che provenivamo dalle rispettive abitazioni e dovevamo prendere la superstrada Firenze Siena per recarci sul luogo dell'incidente.

Durante il viaggio fino a Firenze Certosa non pensai, guidai meccanicamente; nel profondo della mia mente e della mia anima c'era una sola, piccola, minuta speranza, alla quale volevo irrazionalmente aggrapparmi, che qualcosa non fosse stato riferito bene, insomma che ci fosse stato un errore. Ahimè anche l'autoradio della macchina contribuì a vanificare le mie speranze, parlavano di superstrada chiusa per incidente mortale. Giunto a Certosa mi accostai aspettando Patrizia, che giunse in capo a pochissimi minuti, assieme a Gabor, suo marito ed anche lui grande amico di Franco, che con il trambusto sentito a casa si era svegliato e aveva generosamente voluto accompagnare Patrizia. Salii a bordo della loro auto guidata da Gabor e imboccammo la Firenze Siena. Dopo pochissimi chilometri lampeggianti blu e gialli illuminavano la corsia opposta alla nostra, intorno ad una grande un'ombra scura, quella di un tir fermo; nel frattempo ci avvicinammo e superammo il luogo dell'incidente che rimaneva sulla corsia opposta e proseguimmo fino alla prima uscita per invertire la marcia. In macchina c'era un silenzio vuoto, solo il rumore del motore si udiva distintamente, nessuno aveva la forza di parlare, né argomenti da proporre, ognuno di noi tre, in cuor suo segretamente, sperava l'insperabile. In breve, molto in breve, giungemmo alle spalle della scena dell'incidente; le luci lampeggianti della Stradale e di un carro attrezzi, poi si stagliò nel buio la sagoma di un grosso TIR fermo sulla corsia di marcia. Le luci erano spente, solo una flebile luce rossa, un piccolo fanalino. Un agente della Stradale ci fece segno di superare e parcheggiare davanti al TIR; mentre passavamo accanto scorgemmo la nostra macchina, incastrata sulla sinistra del TIR, dritta, come se avesse tentato di superare il TIR dalla corsia di emergenza, che in quel tratto di strada però non c'era. Come non c'era mai stata e non c'è in tutta quella strada.
Scendemmo e ci dirigemmo verso la parte posteriore del grosso camion, per vedere meglio. Un agente della Stradale ci si fece incontro - ciao Massimo - mi disse, mi abbracciò, lo riconobbi in quell'istante, era un ispettore col quale avevamo seguito alcune iniziative assieme per conto dei nostri rispettivi uffici; c'era stima ed ammirazione reciproca, si sciolse dall'abbraccio e continuò - mi spiace davvero, fatti coraggio - mi sembrava tutto irreale, tentai di avvicinarmi alla macchina, un altro agente ci disse - Non è bello da vedere. - A quel punto avemmo la certezza che non vi erano più speranze... che il peggio era accaduto... Il lenzuolo bianco copriva pietosamente il corpo di Franco; non trasudava sangue, appariva composto al suo posto di guida. La sua macchina era incastrata sulla parte destra del camion, dietro, dritta, la parte anteriore sinistra della macchina distrutta, inesistente, tutt'uno con il posteriore del camion. Tutto sembrava, anzi era inspiegabile. Ma ogni spiegazione a che poteva servire? niente e nessuna spiegazione avrebbe riportato in vita il nostro caro amico!

Furono ore e giorni terribili quelli che seguirono, tante cose da fare, senza neppure poter pensare, conoscere familiari che non avevo mai visto. E i giornalisti... che improvvisamente mi portarono una notorietà non voluta, non sperata, difficilmente superata.

Il giorno seguente, mentre vegliavamo il feretro in attesa delle esequie, suonò il telefono; era la richiesta di un trasporto di equipe che doveva fare un prelievo di organi. L'imbarazzo fu totale, disarmante. A chi chiedere di fare questo servizio? Il cuore mi si spinse ancora più su in gola, lo stato di prostrazione e di disagio divenne totale. Sarei voluto andare io, perché mi mancava il coraggio di chiederlo a chiunque dei nostri ragazzi, ma potevo andarmene in quel momento in cui rappresentavo la congiunzione tra i due mondi di Franco? David, uno dei nostri formidabili volontari, mi era vicino e capì quel che stava accadendo. Si propose e mi sentii alleggerito perché, inutile negarlo, mi tolse da una grande incombenza, ma anche perché mi diede modo di constatare che, anche nei momenti più difficili, potevo contare sulla solidarietà di chi mi stava vicino; che, anche se stavamo piangendo un amico mancato nell'esecuzione del proprio dovere, un dovere scelto e voluto come contributo verso il prossimo, qualcuno era già pronto a partire di nuovo! Provai (e ripensandoci ancora oggi lo provo) un brivido, ma anche la consapevolezza di rappresentare una vera importante squadra. Questo mi diede forza! David si stropicciò gli occhi e partì. Fu anche significativo che i chirurghi, prima di recarsi ad effettuare il loro servizio, vollero passare a rendere omaggio alla salma di Franco che avevano conosciuto e stimato. Fu un’altra bella espressione di solidarietà.

Suonò ancora una volta il telefono, che in verità quel giorno non si acquietò quasi mai; tante, tantissime furono le testimonianze di affetto e di solidarietà da tutta Italia. Dal capo della Protezione Civile Bertolaso, ai medici, che da ogni parte d'Italia, avendo letto la notizia sui giornali, non mi fecero mancare una buona parola... un abbraccio. Purtroppo ricordo ancora con amara tristezza il silenzio delle autorità sanitarie della Regione in cui abbiamo iniziato la nostra opera e per cui tutti noi, anche Franco fino al quel momento, abbiamo sempre profuso un grande sforzo.

Solo il responsabile del centro trapianti, dove erano destinati gli organi, mi chiamò con grande affetto e mi annunciò che gli organi che erano giunti al centro trapianti , dopo adeguata valutazione, si era riscontrato che non avevano subito danni conseguenti dall'incidente e quindi erano idonei al trapianto e dunque furono trapiantati!
Nella tristezza di quel momento mi sentii sollevato, anche se solo per qualche istante. Giusto il tempo per un pensiero che giunse opportuno come ultimo saluto, visto che gli addetti erano arrivati per rimuovere il feretro ed avviarlo alle esequie.

Anche l'ultimo tuo atto, Franco, è stato contraddistinto, come tutta la tua vita, dal senso di generosità che ti ha animato; ed anche nell'estremo momento sei stato utile al prossimo!

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