E’ uno strano lavoro,
fatto di telefoni invadenti,
di voci ansiose che ti ascoltano attente!
E’ uno strano lavoro,
fatto di telefoni invadenti,
di voci ansiose che ti ascoltano attente!
La valigia già pronta
Per il prossimo viaggio
Per andare a rendersi utile a chi neppure sai chi è,
tanti kilometri
Tanti viaggi e nessuno,
tante facce e nessuna…
non li conosci nemmeno
ti aspettano… ti sorridono in tanti
anche se non li vedi lì davanti
non rimane mai molto
solo prendere ed andare
ma di questo alla gente è difficile parlare;
Tu che sei qui davanti,
tu cosa pensi che ci dia
questa vita di più… dopo che ce ne siamo andati via
La gioia di un sorriso
di una vita ritrovata
è una preziosa soave emozione privata.
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Da qualche tempo a questa parte si parla con una certa frequenza di trapianti, di ogni tipo. Bèh, oggi è il mio turno a dover affrontare questo argomento. Lo farò in modo atipico affrontando un aspetto per lo più ignoto ma non meno affascinante. Vi siete mai chiesti come fa un organo o un midollo osseo ad arrivare dall’ospedale dove il donatore fa la sua importante opera umanitaria mettendo a disposizione un po’ di se stesso, fino all’ospedale dove si trova il malato, colui che deve ricevere il trapianto? Immagino che nessuno di voi si sia mai posto la domanda; vi assicuro che fino a qualche anno fa neppure chi scrive era mai stato sfiorato dall’interrogativo. Finché un giorno mi fu chiesto di risolvere il problema. Poiché i trapianti aumentavano numericamente in modo consistente non era più pensabile di ricorrere, attivando le più fantasiose procedure d’emergenza, all’ausilio dei, peraltro sempre pronti e disponibili, pompieri o poliziotti. Occorreva, mi fu indicato, una struttura specificamente adeguata e professionalmente preparata. I problemi che si incontrano nello svolgere questo delicato compito sono davvero tanti e della più disparata natura, e diventano ancor più complessi e difficili se sei dall’altra parte del pianeta, come più avanti avrete modo di rendervi conto dal racconto della mia ultima missione a Richmond in Virginia Usa.
Sì perché un donatore compatibile te lo puoi trovare in ogni angolo della terra, prevalentemente in Europa, ma c’è un’alta percentuale di compatibilità anche in USA, Canada, ma può capitare anche di andare nel resto del mondo come quella volta in Cina…
Immagino già l’espressione di qualcuno che ha pensato "ma guarda questi che sistema originale che han trovato per girare il mondo"; in effetti per chi desiderasse farsi una profonda cultura su ospedali, aerei, aeroporti con qualche infarinatura sugli alberghi, sicuramente può unirsi al gruppo ed è benvenuto.
Infatti non resta molto di più. Quando i viaggi internazionali cominciano ad essere due a settimana… la valigia è sempre pronta per la prossima scena, non rimane poi molto, solo tante facce e nessuna, non conosci mai davvero nessuno ma ti aspettano sempre in tanti, tutti coloro a cui contribuisci a ridare la vita, ed allora ti resta solo prendere ed andare, ma di questo alla gente è difficile parlare. Ma io che sono naturalmente portato a confrontarmi con imprese difficili ci proverò lo stesso.
Come dicevo prima voglio raccontarvi la storia della missione a Richmond; ridente, pensavo io, cittadina della Virginia, poco più a sud di Washington capitale dell’intera Unione.
Dunque il prologo è: il centro trapianti di Bologna mi chiede di andare a prendere un midollo che deve essere trapiantato ad un loro ricoverato che chiamerò Fabio (nome di fantasia), un ragazzone giovane e forte che purtroppo ha avuto in sorte un incontro ravvicinato con una malattia che non ti da tante chance; i medici hanno sentenziato: trapianto!
Ed il miglior donatore è stato proprio individuato a Richmond. Quindi partenza per gli USA.
Arrivo nella capitale del tabacco nel tardo pomeriggio di un caldo lunedì di settembre. L’espianto del midollo era previsto nella mattinata di giovedì. Il donatore, un non meglio identificato codice "09616"; già, perché severissime leggi internazionali sulla ormai anche da noi ben nota privacy, dispongono l’assoluta incomunicabilità ed anonimato tra donatore e ricevente almeno per cinque anni e noi, che siamo gli unici potenziali punti d’incontro, siamo tenuti alle più rigorose osservazioni di queste norme; dunque dicevo che l’espianto era previsto per il giovedì. Giusto il tempo di far litigare un po’ il mio metabolismo con il jet-lag. Già perché con il fuso orario, quando il tuo fisico è abituato a far colazione e si aspetta un bel caffè con brioche, lì è ora di pranzo. E che pranzo! dopo una notte parzialmente passata a vedere la tv (altro effetto collaterale del solito jet-lag) che ripetutamente annunciava l’arrivo di Isabel; ma non si trattava di un’avvenente starlette di Hollywood, ma bensì un uragano. La tv, in America, ha un canale dove trasmettono solo meteorologia e mostrava, con dovizia di particolari, l’evolversi del cammino di Isabel, senza ovviamente tralasciare le inquietanti immagini di ciò che Isabel si lasciava dietro. Non mancava neppure, è ovvio, la previsione del suo percorso, e guarda caso pareva proprio che Isabel avesse deciso di venirmi a trovare per proseguire poi il suo cammino fino alla capitale. A ciò non avevo dato un’importanza angosciosa ma neppure mi aveva lasciato indifferente. Decisi così di andare a cercare un posto per fare colazione fuori dall’hotel dove alloggiavo. Era quindi la mattina di martedì mentre, distrattamente, passeggiavo tra le poco frequentate strade di quella che un tempo era stata la capitale del tabacco, perché adesso, almeno in città, di multinazionali del tabacco nemmeno l’ombra e neppure di vita lussureggiante. I negozi, molti chiusi ed abbandonati; i pochi in funzione non erano certo ricchi di lustrini e di gran moda, insomma una modesta cittadina di provincia. Ma le mie pigre riflessioni furono bruscamente interrotte dal suono del cellulare. L’ospedale di Bologna mi comunicava che proprio per i rischi connessi al probabile passaggio dell’uragano Isabel, d’intesa con l’ospedale americano avevano deciso di anticipare di un giorno il prelievo del midollo dal donatore.
Ecco finito il momento di passeggiare e delle pigre riflessioni; si profilava un’intensa giornata di lavoro. Sicuramente in pochi di voi avranno provato a riorganizzarsi un viaggio di ritorno intercontinentale con un giorno d’anticipo. Bèh, adesso vivrete ansie e difficoltà nel mio racconto.
Prima qualche doverosa premessa che vi aiuterà a comprendere l’accaduto.
Innanzi tutto le compagnie aeree. Un bel po' ci vuole a spiegare alle compagnie aeree che per fondate necessità devi rivoluzionare i programmi… giusto perché non sfiori nessuno l’idea che, siccome uno fa questa importante opera umanitaria, possa avere un qualche minimo privilegio. Assolutamente no! Anzi, siccome abbiamo delle particolari esigenze legate alla natura dei nostri viaggi, siamo visti come orpelli più pesanti dei normali viaggiatori. E potrei profondermi nel racconto di aneddoti a sostegno di questa mia affermazione.
Inoltre una consolidata abitudine degli americani è quella di avere, in ogni azienda, ospedale, dipartimento governativo ecc., uno o due cervelli che scrivono le procedure, di qualsiasi cosa. Grandi libri dove c’è scritto, passo per passo, quel che si deve fare nelle varie situazioni, fino a stabilire, per esempio quando uno possa o meno togliere il cappello. Poi il resto del popolo legge ed esegue, talvolta disconnettendo il proprio cervello. Il dramma esce in tutta prepotenza quando ci si trova in una situazione non prevista dalle procedure.
Ecco, adesso torniamo ai miei passi frettolosi verso l’albergo che diverrà anche il mio quartier generale.
L’occhio cade fugace sulla locandina di un giornale “Il governatore della Virginia dichiara lo stato d’emergenza per Isabel” recitava il titolo, secondo brusco presagio di Isabel. Intanto lungo le strade, i più previdenti, iniziavano a corazzare porte e finestre con assi di legno.
Giungo in albergo, spiego il problema e chiedo di poter usare un computer collegato ad internet; mi viene indicata una stanza dotata di computer, mi viene però spiegato che quello è per tutti i clienti. Ripeto le spiegazioni sperando di spuntare una qualche precedenza, ma il gentile capo reception mi spiega che ogni cliente ha diritto ad usare il computer, perché ognuno ha i suoi problemi da risolvere. Sorvolo su discussioni che immagino possono portare solo a sterili perdite di tempo. L’idea è quella di contattare subito il nostro agente di viaggi in Italia. Così faccio, chiamo e spiego il problema e gli chiedo di rifarmi le prenotazioni anticipate di un giorno.
Nel frattempo prendo contatti con l’ente americano che gestisce tutti i prelievi e trapianti di midollo osseo; mi confermano di aver anticipato il programma di un giorno e si mettono a disposizione per aiutarmi a cambiare il piano di viaggio. Per questa operazione mi chiedono di contattare un tal Mr. John, agente di viaggi. Lo faccio immediatamente; mi risponde una segreteria. Lascio un messaggio e spero. Nel frattempo richiamo il nostro agente di viaggi in Italia; mi viene detto che i voli intercontinentali sono tutti pieni. Ci credo! con Isabel che si appresta a spazzare tutta la costa, tutti tentano di andarsene. Mi viene suggerito di tentare sul posto. Tento, o meglio tenterei, ma come? Ci sarà un ufficio di viaggi a Richmond? Dove? A salvare i miei dubbi interviene il telefono, il mr. John, ufficio viaggi dell’ente americano, mi dice che è a mia disposizione e mi chiede tutta una serie di dati da leggere sul biglietto; forse un fax sarebbe stato più semplice ed immediato, ma forse non era previsto dalle sue procedure, quindi via ad una difficile individuazione di codici sul mio biglietto. Aggiungiamo alle difficoltà quelle della lingua, in quanto il John parlava alla medesima velocità di Speedy Gonzales e con uno slang tutto particolare; credo che tutti avranno chiaro di quanto sia più difficile parlare una lingua straniera al telefono. Dopo questo quarto d’ora di fatica, giuro che ho sudato, John mi dice che penserà a tutto lui, senza neppure chiedere quali fossero le mie esigenze. Alla mia precisa richiesta, replica dicendo che manterrà il programma esistente, anticipato di un giorno. Ecco un esempio di errata valutazione. Il programma anticipato di un giorno non era verosimilmente attuabile per più motivi. Intanto l’ora prevista per la consegna del midollo sarebbe sicuramente tardata rispetto alle previsioni; era ovvio che anche l’ospedale, nelle sue procedure organizzative, potesse tardare. Poi il viaggio di ritorno prevedeva uno scalo a Washington, che era esattamente sulla stessa traiettoria dell’uragano, come Richmond, solo un poco più a nord, bastava un piccolo contrattempo che il volo poteva saltare. Era necessario uscire dalla traiettoria di Isabel. Si doveva per forza fare scalo su un aeroporto nell’entroterra. Mi collego ad internet, cerco una carta degli USA ed un orario dei voli, grazie ad un amico ho un indirizzo web e relativa password per i sistemi di prenotazione che hanno gli agenti di viaggio, non posso fare prenotazioni ma vedere i voli e la disponibilità dei posti ed in questo caso era già tanto. Scrivo una mail spiegando chiaramente a John che voglio partire alle 17.30 e non alle 15.00 come previsto e fare scalo a Chicago e non a Washington e fornisco le relative motivazioni. Lo chiamo, gli chiedo di darmi l’indirizzo di posta; lui, già un po’ seccato dalla mia chiamata, nasconde malamente il suo disappunto per l’ulteriore richiesta che gli pongo. Con un po’ di nonchalance fingo di non capire e lo esorto a leggere la mail ed a fare come gli chiedo. Confidando nelle sue corsie preferenziali, perché in effetti il volo da Chicago a Francoforte veniva dato per completo in ogni ordine di posti. Un certo languorino mi ricorda che la colazione era saltata e che cominciava a farsi tardi anche per pranzo. A quel punto mi viene in mente Fabio, in ospedale a Bologna, ignaro certamente di ciò che stava accadendo; gli rivolgo un pensiero, come potessi parlarci; Fabio, tranquillo, ce la sto mettendo tutta. Ma è ancora il cellulare a riportarmi bruscamente alla realtà; dall’Italia il mio agente di viaggi mi dice che avrebbe trovato una soluzione passando da Los Angeles, totale tempo del viaggio ventisei ventotto ore. Troppo lungo. La percentuale di cellule che arriverebbero a Fabio è troppo bassa, il rischio d’insuccesso del trapianto mi pare troppo alto. Dico di tenere la prenotazione, ma anche che la userò solo come ultima possibilità. Siamo alle quattro di pomeriggio del frenetico martedì. Mi richiama l’ente americano dei trapianti di midollo e mi conferma che con l’ospedale è tutto a posto, che saranno pronti per consegnarmi il midollo per le 13.00 come da programma. Chiedo rassicurazioni sull’orario; take it easy, stai tranquillo, mi rispondono. Riferisco di non avere ancora notizie delle prenotazioni aeree; arriveranno presto fu la laconica risposta. Infatti dopo una mezz’ora mi chiama John, che con tono trionfale mi comunica che io “sono confermato” sul volo Chicago - Francoforte, partenza da Chicago alle 21.00, e mi suggerisce di andare subito all’aeroporto per cambiare i biglietti. Pur essendo cosciente che, una volta fatte e confermate le prenotazioni, quella del cambio di biglietto è solo una banale prassi, trovo il suggerimento di John opportuno e quindi mi imbarco in taxi destinazione aeroporto. Proprio aeroporto, perché in città non c’erano agenzie di viaggi in grado di emettere biglietteria aerea. Dopo qualche minuto di viaggio, chiusa al cellulare una delle tante telefonate, mi rendo conto che l’aspetto della città stava mutando; le corazzature alle finestre ed alle porte erano ormai presenti dappertutto, erano apparsi una serie di cartelli stradali con l’indicazione di “miglior via di fuga per l’uragano” qualche auto già stracarica di persone e cose era in viaggio. Dopo due chiacchiere col tassista giungo in aeroporto dove in un’oretta, tempo assai lungo per un'operazione che normalmente si completa in cinque dieci minuti; mi danno i biglietti col nuovo itinerario, pago il conguaglio, perché alle compagnie aeree di Fabio, dei trapianti, dell’uragano, mi si passi l’espressione un po’ colorita ma che rende esattamente l’idea: “non gliene può fregare di meno” e me ne torno in albergo. Tutto sommato sono più tranquillo. Ho in tasca il biglietto con il piano di viaggio che ho reputato migliore. Inganno il tempo del viaggio con una chiamata all’ospedale di Bologna per un breve resoconto e l’aggiornamento finale. Grazie ma non avevamo dubbi, nessuno meglio di te sa come risolvere questi problemi, è stata la risposta. Bèh, comunque una grande soddisfazione sapere che lo staff medico con cui ti rapporti ha piena fiducia. Segue inevitabilmente un altro pensiero a Fabio, visto che ce l’abbiamo fatta. Coraggio Fabio il meno è fatto, il viaggio è organizzato, adesso va portato a termine. Sono ormai quasi le otto, per il mio bioritmo le due di notte. Appena in camera la tensione si allenta, il sonno prepotentemente si affaccia; nemmeno l’idea di andare a cena, meglio una bella dormita.
L’alba del mercoledì mi vede attivo. Dopo colazione iniziai subito a preparare i bagagli poi, visto che avevo ancora qualche ora, decisi di impiegarla leggendo un libro. Reputai troppo rischioso, con tutta l’agitazione ed il viavai che c’era in giro, mettersi a girare per la città. Alle undici decisi di chiamare l’ospedale per prendere gli ultimi accordi. Mi fu risposto che, vista l’eccezionalità della situazione, qualcuno sarebbe venuto in albergo a portarmi il midollo e mi avrebbe accompagnato all’aeroporto. Confesso che l’idea non mi entusiasmava ma, per non stravolgere la meticolosa organizzazione americana, accettai. Ci accordammo che ci saremmo visti nella hall dell’hotel alle 13.00.
Erano già le 13.15 e non si vedeva nessuno, ormai sbirciavo dalla porta ogni auto che arrivava e tentavo di percepire in anticipo, allo scopo di placare l’ansia, quale potesse essere il mio uomo. Alle 13.45 ricevo l’ennesima telefonata e mi dicono che hanno appena finito il prelievo e che quanto prima il mio contatto arriverà; questa vicenda ha ormai un po’ il sapore di un’incontro tra agenti segreti, ma non ho molta scelta. Continuo a scrutare, con malcelata ansia, ogni macchina, ogni persona, tra le faccende della gente che, indifferente intorno a me, continua freneticamente ad occuparsi delle sue cose. Alle 14.15 un ometto che era l’identikit di Poldo, l’ometto dei fumetti che mangiava i panini, a bordo di una vecchia Lincoln, parcheggia davanti all’albergo; entra, si dirige verso di me e si fa riconoscere. Auff, fatta! penso; non avevo ancora chiaro che il bello doveva venire. Ci mettiamo in una stanza e mi da le preziose sacche di midollo, le sistemo meticolosamente nell’apposito contenitore rigido. Mi da una busta con la documentazione che in macchina, appena partiti, controllo. Manca una carta, dal punto di vista del viaggio quella più importante. Quella in cui si attesta che cosa trasporto, che non devono esserci ritardi, che il midollo non può passare ai raggi x durante i controlli di sicurezza. Un bel guaio! Chiedo all’ometto che mi accompagna di ripassare dall’ospedale a prenderlo; lui mi dice che, all’ospedale, non hanno questa dichiarazione e non la possono fare e che poi perderemmo troppo tempo. Che fare? Come spiegare ai solerti, o meglio pedissequi, addetti alla sicurezza degli aeroporti americani che il mio contenitore non poteva passare nella macchina dei raggi x perché altrimenti Fabio rischiava di morire? E soprattutto, nella non remota ipotesi di problemi e ritardi, come spiegare che dovevano darmi la massima precedenza? Certo potevo mostrare il contenuto, ma delle sue caratteristiche di trasporto, oltre la mia parola non c’era nulla… Come potevo confortare le mie parole? Che fare? Rischiare il viaggio senza il lasciapassare o passare dall’ospedale ed insistere per avere una qualsiasi carta che dicesse ciò che stava accadendo, perdendo tempo prezioso, rischiando di perdere l’aereo? Serviva una soluzione! Ecco l’idea! Dico all’omino di dirigersi all’aeroporto. Mi attacco al telefono, chiamo la mia corrispondente dell’ente americano che sovrintende ai trapianti, gli spiego l’accaduto e gli dico di preparare il documento e di tenerlo pronto per inviarlo ad un numero di fax che gli comunicherò. Nei pressi dell’aeroporto un hotel; ci entro, chiedo di poter ricevere un fax, me lo faccio mandare! Ho il documento, anche questa è fatta! Arrivo all’aeroporto già un po’ provato, ma mi attendeva un’altra inquietante sorpresa; mi presento al check-in, consegno i miei biglietti, quelli col nuovo itinerario scambiati il giorno prima. L’addetto, dopo vari smanettamenti sulla tastiera del computer, mi consegna la carta d’imbarco per il volo da Richmond a Chicago, su cui annota un numero di telefono. Poi mi dice: "questa è la carta d’imbarco, mentre per il volo da Chicago a Francoforte lei non è prenotato, chiami il numero che le ho segnato per farsi dare il posto, è gratuito!".
Immaginate il mio stupore; dopo un attimo di sbigottimento avvio una febbrile trattativa, spiego più volte il motivo del mio viaggio e le sue caratteristiche, ma il solerte impiegato mi rinnova il concetto che le procedure non prevedono altro che chiamare il numero per le prenotazioni se uno non è prenotato. Eh le procedure! Non desisto, dico che un posto me lo devono trovare, che non me ne andrò finché non avrò tutte le carte d’imbarco. Il mio interlocutore è ancora più tosto di me e continua a parlare delle sue procedure. Gli chiedo di chiamare il famoso John che aveva fatto le prenotazioni e gli mostro il numero, con un sorriso mi dice il suo telefono non può fare quel numero perché troppo distante. Credeva di avermi smontato ma io non mollo; prendo il mio cellulare, digito la lunga serie di numeri e glielo do in mano, dopo un buon quarto d’ora di chiacchiere riaggancia e mi dice che non c’è posto; gli dico che deve trovarlo. Sono ormai passati tre quarti d’ora e tra poco chiuderanno il volo; non mi resta più molto tempo. Alla fine mi da una carta d’imbarco dove c’è scritto solo “confirmed” senza assegnazione di posto. Stabilisco che ciò che avevo avuto era il massimo ottenibile in quella sede. Mi conveniva prendere quella carta ed arrivare a Chicago e lì ricominciare. Nel volo tra Richmond e Chicago mi preparo psicologicamente ad affrontare la battaglia. Giunto a Chicago, in orario per fortuna, mi dirigo all’imbarco del volo per Francoforte dove spiego, per l’ennesima volta, tutta la faccenda; mi viene detto che era presto e di ripresentarmi dopo una mezz’ora. La “procedura” mi pareva atipica, il modo di fare del mio interlocutore anche. Ma non mi persi d’animo, andai a farmi qualche fotocopia della famosa carta d’imbarco con scritto “confirmed” giusto perché non si sa mai. E giusto perché chi gioca in casa, ovvero la compagnia aerea, è sempre avvantaggiato e chi gioca ospite, il viaggiatore, in questo caso io, è sempre alla mercé, spesso costretto a subire.
Si è fatta ora di tornare al banco dell’imbarco. Ci ritorno. Trovo la solita addetta che mi dice che su quel volo non c’è posto e che, come hanno scritto anche sul monitor, cercano volontari per prendere il volo dopo e, quindi, mi propone un posto sul volo che parte il mattino successivo. Mi prodigo nello spiegare che non posso assolutamente aspettare la mattina dopo, che ho una carta con scritto “confirmed” e, quindi, se c’è qualcuno che salirà sul quel volo di certo sarò io. Con una serie di mosse artificiose e di scambi consegne al banco tentano di farmi sparire la famosa carta d’imbarco con scritto “confirmed”; a quel punto una posizione dura s’impone! Vado da quello che sembra essere il capo branco e, senza mezzi termini, gli dico che non devono assolutamente comportarsi così e che, comunque, io sarò il primo a salire su quell’aereo, e mi dirigo verso l’imbarco. Il tipo un po’ brusco; mi dice che non devo assolutamente provarci, altrimenti chiamerà la polizia. Ha detto la parola magica. Gli rispondo che mi pare un’idea fantastica perché, siccome se io perdo quel volo qualcuno potrebbe morire, è bene che ci sia un’autorità che abbia verbalizzato l’accaduto, così che si possa avere una chiara idea di chi ha sbagliato e che possa quindi pagare! A quel punto la sicurezza del mio interlocutore vacilla, il colpo di grazia glielo do, mostrandogli la fotocopia della famosa cara d’imbarco, e dicendogli che di copie ne ho altre. A quel punto è mio! L’ho sopraffatto! Dopo un gran parlottare con i suoi, mi danno una carta d’imbarco col numero di posto. E’ fatta!!! Posso imbarcarmi, non per primo, ma l’importante è esserci e tornare in Europa.
Arrivato all’aeroporto di Francoforte, vedo sui monitor che quasi tutti i voli in arrivo da Washington sono cancellati, più tardi nel volo che mi porta a Bologna, leggendo un giornale, scopro che sono stati quasi mille i voli cancellati; mi ritorna in mente la mia ostinazione a non passare per Washington, non ci avevo visto male.
Il resto del viaggio si svolge, per fortuna, senza ulteriori intoppi.
All’aeroporto di Bologna vedo dall’oblò dell’aereo la luce blu che lampeggia sul tetto della nostra macchina che mi era venuta a prendere a bordo pista. Fu come un raggio di sole… mi scaldò il cuore.
Il midollo è arrivato nei tempi all’ospedale di Bologna, dove i medici provvedono immediatamente al trapianto.
Mentre esco dall’ospedale un ultimo pensiero a Fabio.
Fabio.. in bocca al lupo! devi farcela, ho faticato davvero tanto per non deluderti…!