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Marzia F.

Una corsa a perdifiato

Si parte. Si parte sempre per una nuova missione. Una nuova emozione.
Arrivi in una città sconosciuta, in un continente sconosciuto, fra persone nuove e diverse culturalmente da te, che non conosci, ma che cerchi di scoprire.
Insomma, il giorno prima del ritiro, quello in cui arrivi nella città dove ritirerai la vita – che sia Germania, Francia, Inghilterra, America, Brasile, Giappone, Israele, poco importa… fai il turista, confuso fra mille altri turisti rumorosi e variopinti.
Visiti la città – lo faccio quasi sempre a bordo di quei simpatici e folkloristici bus turistici scoperti a due piani che ho risoprannominato “sitte-sitte” - in attesa del giorno del ritiro; l’indomani.
Quel giorno ti trasformi e diventi un altro.

 

Svesti all’improvviso gli occhiali da sole a specchio, la macchina fotografica a tracolla, togli di tasca la mappa della città e diventi un vero soldatino al servizio della vita.
Dentro di te scatta una molla. Il tuo obiettivo è uno solo. Portare la vita a chi l'aspetta da tanto tempo nel più breve tempo possibile.
Vorresti spingere con la forza delle tue braccia l'aereo che riposa lì, dietro i vetri sporchi del gate per anticipare l'arrivo.
Vorresti già essere arrivato al centro trapianti a consegnare la vita, ma poi la realtà è diversa.
Serve tempo e pazienza. Speri che le connessioni tra un aereo e l'altro siano tutte perfette, che nessun ostacolo si frapponga fra te e la vita.
E quando infine arrivi nella città di destinazione e finalmente arriva l'attimo della consegna… beh, il cuore si alleggerisce immediatamente.
Pensi che anche questa volta ce l’hai fatta. Tutti i tasselli dell’ingranaggio hanno girato ben oleati nel modo giusto.
Sei felice e sospeso a mezz’aria, di una felicità speciale, difficile da descrivere. Sei così felice e subito pronto per un’altra missione, un’altra avventura, un’altra vita da consegnare.
Orgogliosa di essere in un gruppo speciale fatto di persone speciali. Al Nucleo Operativo c’è rispetto per tutti. Nessuna gerarchia, nessuna voglia di pestare i piedi agli amici e colleghi, nessun arrampicamento carrieristico…
E parla una che ha lunga e vasta militanza in protezione civile e che ne ha, ahimè, viste tante.
Ho sempre creduto che il volontariato e la solidarietà siano qualcosa di speciale per persone speciali, ma di delusioni cocenti ne ho avute assai.
Solo in questo gruppo di angeli della vita ho trovato qualcosa di diverso, sia per il tipo di missione, sia per lo spirito vero e puro che anima i colleghi volontari e la dirigenza.
Se sbagli, una carezza e una pacca sulla spalla l’hai sempre da parte di chi ti aiuta a non sbagliare più. Il fatto che fra colleghi poi ci frequentiamo anche nella vita privata dimostra la forza della nostra unione.
Sei sempre pronto per partire per una nuova missione, anche se non è scontato per niente che tutto vada sempre bene. Ma hai comunque sempre la certezza di non essere mai sola e di avere sempre a fianco, anche nei momenti critici, chi ti sorregge e ti indica la giusta direzione.
Come quella volta che, insieme ad un’altra amica volontaria, ho vissuto un’avventura turbolenta in terra francese.
Era una domenica d’autunno quasi primaverile quando, mappe e navigatore alla mano, saltammo sull’auto di servizio in direzione Besancon, Francia.
Per la prima volta, dei volontari si recavamo in quella cittadina francese per il ritiro di cellule staminali. Dopo lunghi e attenti studi di piani di viaggio possibili, la nostra sala operativa realizzò che quel ritiro con consegna a Milano era ideale farlo in automobile.
Un viaggio tranquillo, fra sole e nuvole a rincorrersi in cielo e a cambiare  continuamente il nostro orizzonte.
Dal finestrino l’odore di città sfuma pian piano in quello delle vigne davanti alle colline toscane e piemontesi di celebri vitigni, si trasforma in aroma intenso di pascolo e malga davanti alle imponenti cime valdostane del Monte Bianco, odora di riva lacustre al cospetto di Losanna e del suo lago e torna infine al sentore intenso di pascolo fra le graziose casette della campagna francese che annunciano la periferia di Besancon.
Città antica: imponente castello, possenti mura, strade selciate, localetti caldi e odorosi di fondue sulle rive del fiume.
L’indomani, lunedì, all’ora di pranzo, la telefonata al centro prelievi. Forse le cellule già sono pronte ed è possibile partire per Milano.
Dall’altro capo del telefono però sono vaghi, approssimativi… Prima comunicano che le cellule potrebbero essere pronte più tardi, ma forse no. Quel potrebbero non ci piace; non abbiamo certezze. E noi dobbiamo averne perché una vita ci aspetta.
Meglio recarsi personalmente al centro prelievi. A volte al telefono le barriere linguistiche possono essere insuperabili.
Via di corsa in auto verso la periferia, in quell’ospedale enorme in cemento e vetro che spunta quasi dal nulla in mezzo ai pascoli.
Le accoglienti giovani biologhe con sorriso garbato e imbarazzato ci fanno capire che le cellule non sono pronte e che forse non lo saranno nemmeno l’indomani, secondo ed ultimo giorno di raccolta previsto.

Panico! Cosa fare? Fra mille altri sorrisi garbati ed imbarazzati, le biologhe allargano le braccia e comunicano che il donatore non ha risposto in modo adeguato al fattore di stimolazione e quindi, quel lunedì non si è potuto neanche iniziare la procedura di prelievo delle cellule per il trapianto del nostro connazionale.

Il donatore è stato ulteriormente stimolato e domani martedì, forse, potremo consegnarvi le cellule, ma molte meno rispetto alla richiesta.

Ancora panico! Cosa fare? I mille garbati e imbarazzati sorrisi delle biologhe non bastano. Abbiamo bisogno di certezze; e soprattutto di certezze ha bisogno quel malato che ci aspetta in un letto d’ospedale a Milano.
Allertiamo subito la nostra centrale operativa facendo presente il problema e soprattutto quel susseguirsi d’informazioni frammentarie e vaghe del team francese che continuava a dire e non dire e rimandare ogni comunicazione certa solo alla struttura di coordinamento a Parigi che, a sua volta, avrebbe ufficialmente comunicato al coordinamento italiano e da lì poi, alla nostra sala operativa che avrebbe dovuto comunicare con noi.
Tutto ci pareva così assurdo. Noi eravamo lì, motore accesso e pronte a sgommare verso Milano e loro, burocraticamente, ci rimbalzavano. Fra mille garbati e imbarazzati sorrisi; ma ci rimbalzavano.
Anche su suggerimento della centrale operativa abbiamo presto capito che era inutile insistere, quella sera non saremmo potute partire per Milano, ma l’indomani, dopo una serata e nottata lunghe, agitate e insonni, come due cani mastini, di buon ora eravamo di nuovo lì, alla periferia di Besancon, a quel centro trapianti, ad aspettare. Seriamente intenzionate ad assicurare al nostro malato le cellule per il suo trapianto.
Con la giusta calma, ma anche con la determinazione educata di chi sa il fatto suo e che ci è stata insegnata dai nostri dirigenti abbiamo atteso, facendo sentire il nostro fiato sul collo, per sapere quale potesse essere la situazione reale.
Coi soliti sorrisi garbati e imbarazzati le biologhe ci comunicano che questa volta il donatore ha reagito meglio ad una ulteriore stimolazione e quindi si poteva procedere alla raccolta.
Abbiamo atteso con grande pazienza la fine del processo di raccolta, incrociando le dita nella speranza di un esito positivo della conta cellulare. Lunghe ore interminabili. Ferme, immobili in attesa lì, al centro trapianti.
Ci guardavamo continuamente negli occhi, cercando un cenno di sollievo, mentre, nervosamente, sfogliavamo entrambe riviste di cui non ricordo niente.
Poi ecco il volto, questa volta senza sorriso, della biologa che viene verso di noi. Quel suo volto senza sorriso diceva tutto.
Purtroppo la raccolta cellulare non era entusiasmante ed abbondantemente, decisamente, al di sotto delle quantità richieste dal centro trapianti Italiano.

Cosa fare? Il team francese, ligio alle sue regole, glissava non dando spiegazioni, ma soprattutto indicazioni.
Cosa fare? Lo stretto contatto con la nostra sala operativa poteva risolvere lo stallo. Il contatto fu veloce, immediato e deciso. I francesi dovevano capire di che pasta eravamo fatti.
Patrizia, dalla sala operativa è rassicurante, anche se la sua voce perentoria traspariva una preoccupazione che non voleva trasmetterci.
Comunica di essere in contatto con il centro coordinamento italiano e soprattutto con il centro trapianto che stava gestendo l'ammalato in attesa.
Secondo giorno di raccolta; raccolta non sufficiente. Tremavamo tutti al solo pensiero che la vita del nostro ammalato fosse in serio pericolo!
Anche se lo stallo si fosse sbloccato velocemente, eravamo ben consce che molti chilometri col fiato in gola e l’asfalto da bruciare ci attendevano.
“Riteniamo necessaria una seconda raccolta da fare oggi” disserro le biologhe francesi che ormai avevano perso dal viso la smorfia di quei sorrisi garbati e imbarazzati.
Lasciammo il nostro presidio fisso al centro trapianti a malincuore, dopo che la centrale operativa ci aveva detto che sì, meglio andare a riposare, l’indomani sarebbe stato dura.
Lacrimavano alcune gocce di pioggia su quel cielo malinconico di tramonto a Besanson, fra l’odore umido dei pascoli e i nostri pensieri fissi a quell’amico che ci aspettava a Milano nel suo letto d’ospedale.
La sera fu un vagabondare in due e la notte un sonno agitato. Un pensiero solo, fisso: che destino sarebbe toccato al nostro amico a Milano?
La mattina, di buon’ora, fra una pioggerellina fine e calda, ci svegliammo belle cariche. Era il grande giorno; oggi le cellule sarebbero dovute essere pronte.
Un’altra impazzita girandola di comunicazioni non precise da parte del team francese ci esasperava ancora.
Un ennesimo giro di valzer sincopato di telefonate e confronti fra centro prelievi, centro trapianti, registro italiano, registro francese e nostra sala operativa aprirono la mattinata.
In questi casi è fondamentale che la decisione sia condivisa, anche se l’ultima parola l’ha sempre chi ha in cura il paziente.
Ecco così che, a fine mattinata, il centro trapianti, fatte le dovute valutazioni, e sicuramente a malincuore, ha dato il via libera per trasportare quelle preziosissime cellule che erano state raccolte. Poche ma, meglio poche che niente.
Via a perdifiato a ritirare quella linfa preziosissima con la prospettiva che, se il centro trapianti decideva che quelle cellule non bastavano il nostro viaggio a Milano avrebbe visto un immediato ritorno a Besancon per poter raccogliere anche del midollo osseo.
“Ve la sentite?” chiese Patrizia dalla sala operativa “di dover tornare eventualmente di nuovo a Besancon e poi ancora a Milano?”
Certo che sì! Ormai quell’amico che ci aspettava era a tutti gli effetti nostro amico; ancora più del solito. E noi non l’avremmo certo abbandonato.
Un viaggio tutto d’un fiato, fra pascoli francesi, temporali improvvisi, odori lacustri svizzeri, pascoli valdostani, vigneti piemontesi e umide pianure lombarde.
Un viaggio a perdifiato, senza fatica, un viaggio motorizzato dalla nostra voglia di arrivare. A tardo pomeriggio le cellule erano pronte per entrare nelle tue vene, caro amico nostro.
Ce l’avevamo fatta! E solo adesso, all’improvviso… voglia di fare pipì, bisogno di bere e tanta fame.
Speriamo che tutto vada bene; noi da parte nostra abbiamo dato tutte noi stesse. Adesso tocca a te: non mollare!

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