Sono una persona che ha già superato i 65 anni, sono ovviamente in pensione da alcuni anni, nell'arco della mia vita lavorativa ho svolto un lavoro che mi ha portato in giro per il mondo, quasi sempre dove la distruzione e la sofferenza erano ben visibili.
Sono una persona che ha già superato i 65 anni, sono ovviamente in pensione da alcuni anni, nell'arco della mia vita lavorativa ho svolto un lavoro che mi ha portato in giro per il mondo, quasi sempre dove la distruzione e la sofferenza erano ben visibili.
Già da alcuni anni faccio parte del nucleo operativo per il trasporto di midollo osseo e cellule staminali della protezione civile di Firenze.
Molti di coloro con i quali, per i più disparati motivo, mi trovo a parlare quando vengono a conoscenza di questo mio impegno, mi chiedono “perché lo fai? Quale è la molla che ti spinge?”; cercherò di dare, con poche parole, una risposta a questo ricorrente interrogativo.
Preferisco, per prima cosa, far conoscere in quale modo sono entrato a far parte di questa organizzazione per poi soffermarmi sulle motivazioni.
L'ingresso è avvenuto in maniera semplicissima, come normalmente nascono molti rapporti di lavoro (anche se in questo caso non si può parlare di lavoro ma di volontariato, cioè impegno senza nessun corrispettivo), sono stato presentato al responsabile del nucleo da un amico che già da alcuni mesi faceva missioni con loro.
Per poter svolgere questo tipo di collaborazione occorre che ci siano delle motivazioni più o meno forti, posso asserire che nel mio caso le motivazioni sono essenzialmente due, una di carattere umanitario, che ritengo la principale, l'altra di carattere personale.
In sintesi sono entrato a far parte del nucleo nelle certezza che il mio piccolo contributo potesse essere utili a chi, meno fortunato di me, avesse problemi di carattere sanitario e allo stesso tempo avere la possibilità di visitare altri luoghi, altre realtà; in breve “unire l'utile al dilettevole”.
L'impegno che a primo impatto può esser ricondotto ad una semplice disponibilità di tempo è invece molto più variegato, infatti oltre al tempo da dedicare all'organizzazione occorre:
- vivere in una famiglia che condivida questa tua scelta;
- conoscere una o più lingue straniere;
- avere un carattere tranquillo, pronto anche a trascorrere parte del tuo tempo in lunghe attese (attesa del prodotto da trasportare che non è pronto nei tempi pattuiti, attesa di aerei che sono in ritardo, di treni e di taxi che non arrivano mai) senza impazientirsi;
- essere coscienzioso, nella consapevolezza che dal materiale che stai trasportando può dipendere la salvezza di un essere umano e che quindi deve essere trattato con la massima attenzione;
- avere, anche se piccola, esperienza in viaggi per risolvere velocemente possibili contrattempi che inevitabilmente si possono presentare.
A tutt'oggi (settembre 2008) ho fatto 30 missioni, raggiungendo ospedali in diversi paesi (Germania, Francia, Stati Uniti, Canada, Inghilterra e Italia); ogni missione è stata diversa dall'altra, vuoi per i luoghi di ritiro/consegna, vuoi per i mezzi impiegati per gli spostamenti.
Tante storie, tante persone e spero tante soluzioni a problemi umani.
Nessuno di coloro che fanno parte dell'organizzazione è in grado di risalire a donatore/ricevente; nomi e sigle sui documenti non ci dicono assolutamente niente se non a far pensare ad amore per il prossimo, sofferenze e speranze.
Sicuramente nei corridoi degli ospedali che frequentiamo sono presenti i parenti e gli amici dei donatori e dei riceventi, i contatti con questi sono rarissimi anzi potrei dire fortuiti; un esempio per tutti può dare un'idea di come si cerchi di mantenere il massimo riservo su donatori/riceventi: mi trovavo, in una delle ultime missioni ad Atlanta, in un bellissimo ospedale in attesa che mi consegnassero del midollo osseo, già da 3 ore attendevo che mi chiamassero per la consegna del prodotto quando, ad un certo punto, un' infermiera mi ha prelevato dall'area di attesa facendomi fare un lungo e tortuoso percorso nei corridoi dell'ospedale, asserendo, alla fine del percorso, che era stato necessario allungare la strada per evitare in maniera certa la possibilità che io potessi venire in contato con i genitori del donatore, che lo stavano attendendo nei corridoi.
Il tempo durante le nostre missioni è tiranno, una volta ricevuto il prodotto inizia una corsa contro le lancette dell'orologio, siamo sempre di corsa tra un aereo e l'altro nella speranza che non ci siano ritardi che ci facciano perdere le coincidenze. Fortunatamente, in attesa del giorno del ritiro del prodotto, ci sono anche momenti di calma, che ho definito “calma apparente” da quando sono stato contattato dall'ospedale dove dovevo ritirare delle cellule staminali un giorno prima del giorno previsto di ritiro.
Mi trovavo a New York per prelevare delle cellule staminali, avevo già contattato l'ospedale dicendo che ero arrivato, dove ero alloggiato, quale fosse il mio numero di cellulare e che avrei richiamato la mattina del giorno della consegna per conoscere l'orario esatto di presentazione in ospedale.
Era il periodo natalizio, avevo due giorni a mia completa disposizione per godermi l'aria natalizia della grande mela; avevo già visitato questa città ma, addobbata a festa e con una spruzzata di neve, ha tutto un fascino particolare.
Il giorno successivo mentre stavo pranzando in un piccolo ristorante nell'area sud di Manhattan, di fronte al ponte di Brooklyn, suonò il telefono; pensavo ad una chiamata dei miei familiari o della sede di Firenze (Massimo e/o Patrizia, i responsabile del nucleo, ci tengono sotto controllo: vogliono giustamente sapere se tutto procede come pianificato o se ci sono intoppi), il numero che comparve sul display era a me sconosciuto, presi comunque la linea; era l'ospedale che mi comunicava che, essendoci stati dei problemi durante il primo prelievo, avevano dovuto sospendere l'intervento che non potevano più riprendere, quindi il prodotto era già pronto per il ritiro, che doveva essere effettuato entro 30 minuti.
Avemmo un breve scambio di vedute per telefono, quindi decisi di recarmi senza altri indugi in ospedale per rappresentare alcune problematiche alle quali andavo incontro, a seguito di un ritiro fatto con così largo anticipo (voli non prenotati, conservazione del prodotto, ecc.).
In ospedale mi venne fatto presente che dovevo subito ritirare le cellule staminali e prendere il primo aereo utile, perché quello era il massimo che mi potevano dare e il prodotto doveva essere reinfuso in tempi brevissimi. Prima del ritiro chiesi ed ottenni:
- il loro interessamento per cambiare il volo (il volo che mi venne prenotato decollava dopo circa 5 ore);
- un taxi che fosse a mia disposizione per accompagnarmi prima in albergo e poi in aeroporto.
Andai quindi in albergo per ritirare i mie effetti personali (valigia fatta a tempo di record: benedissi la disposizione che ci consiglia di viaggiare con un bagaglio a mano) ed il nostro inseparabile contenitore termico; pagai l'albergo e quindi ritornai in ospedale.
Ritirato il prodotto mi diressi verso l'aeroporto di Newark, dove feci il check-in 40 minuti prima della partenza del volo; credo di essere stato l'ultimo passeggero ad essere accettato su quel volo.
L'odissea continuò: ora dovevo superare i controlli di sicurezza, com’è noto, dopo l'11 settembre 2001, negli USA i controlli sono molto scrupolosi, senza contare che stavo trasportando sostanze che non possono essere sottoposte ai raggi X e quindi controllate sia visivamente che con un tampone da un controllore a ciò preposto.
Mi preparai ai controlli cercando di non lasciare nelle tasche materiale (chiavi, monete, telefono ecc.) che potessero attivare i sensori dei cancelli elettronici; mentre mi rivestivo controllai insieme al personale preposto il contenuto del contenitore termico mostrandogli anche le lettere di accompagnamento del prodotto, rilasciatemi dall'ospedale; finalmente potei correre senza altri intoppi all'imbarco.
Credo che coloro che mi incontrarono avranno fatto un sacco di risate notando un povero cristo correre come se facesse la gara dei 100 metri alle olimpiadi, con i lacci delle scarpe penzoloni, cintura dei pantaloni al collo, con entrambe le mani impegnate nel trasporto di bagagli, soprabiti, sciarpa.
Ma tutto è bene quel che finisce bene: riuscii a salire in tempo sull'aereo, dove finalmente ebbi modo di rilassarmi e, in seguito, a consegnare nei tempi previsti il prodotto sanitario di cui ero responsabile.
Fortunatamente quello raccontato è stato e spero rimanga un caso isolato, ma la tensione di non arrivare in tempo a prendere il volo previsto e le lunghe attese sono all'ordine del giorno durante lo svolgimento del nostro servizio.
Una volta arrivati a destinazione e consegnato finalmente il materiale lo stress accumulato si allenta, lasciandoci una pace interiore, certi di aver fatto un'azione che può ridare speranza a coloro che sono stati più sfortunati di noi.
Spero di poter continuare a dare, ancora per molto tempo, il mio piccolo contributo e che altri decidano di entrare a far parte della nostra piccola famiglia.