Questa pagina fa uso di cookie.
Visitando questo sito web si autorizza l’impiego di cookie. Per informazioni dettagliate sull’impiego dei cookie in questo sito web invitiamo a cliccare su "Maggiori informazioni".
Utilizza il tuo browser per revocare l'autorizzazione all'uso dei cookie.

Andrea B.

Tu chiamale, se vuoi, emozioni...

Quella che voglio raccontare non è un’avventura, ma un’emozione.

Sì perché come credo che tutti coloro che condividono questa attività, di emozioni ne hanno provate (e ne continuiamo a provare) tante, veramente tante, in ogni missione.
Avventura mi pare una parola forte, forse fuori luogo, anche perché nessuno di noi si sente un supereroe col costumino sgargiante e attillato che vola sopra i tetti delle città… Tuttalpiù girelliamo sudati, e talvolta spaesati, fra aeroporti e stazioni, in anonimi vestiti da pensionati italici.
Quindi quella che vi racconterò è un’emozione, e se devo scegliere fra una delle emozioni vissute, devo dire che quelle che rimangono più scolpite “nella carne” sono, almeno per me, le prime. E di queste vi racconterò…

 

 

Nell’ambiente degli “angeli della vita” sono “un novellino”. Mi sono avvicinato all’associazione soltanto all’inizio dello scorso anno, prima incuriosito e poi sempre più interessato dagli episodi, più o meno particolareggiati, ma tutti di grande impatto, raccontati dall’amico Maurizio, con il quale condividevo un altro tipo di esperienza di volontariato.
Ricordo che Maurizio raccontava, raccontava e raccontava, con il fuoco vivo della gioia negli occhi e il volto disteso in sorrisi mai visti.
Ero curioso ma, a dire il vero, non riuscivo bene a mettere a fuoco l’oggetto ed il contorno delle missioni che lui, da un po’ di tempo, svolgeva per questo sconosciuto nucleo di volontari.
Oggi qui, domani là, a1000 chilometri di distanza… Corse a perdifiato per prendere un aereo o rincorrere un treno… Lungaggini sfiancanti per superare i controlli di sicurezza e spesso discutere con i doganieri... Sempre con un occhio vigile e la mano ben stretta al prezioso “carico” in affido.

Il mio interesse cresceva e alle mie ripetute domande di chiarimento, sempre più dettagliate, Maurizio mi disse che era il caso di incontrarsi con calma per parlarne meglio, magari con calma, davanti a un caffè.
Fu così che un bel giorno, di quelli che non dimenticherò mai, Maurizio venne a trovarmi a casa.
Lì, comodi in poltrona e con la tazza di caffè fumante in mano, passammo un intero pomeriggio insieme.
Ero sempre più interessato e non finivo di fare domande.
Maurizio fu carinissimo, ma alla fine (forse l’avevo sfiancato) disse che a quel punto, dato che entravamo molto nel dettaglio, era meglio se mi organizzava un incontro con Massimo, il responsabile del Nucleo.

Ero emozionato quel giorno; con Massimo ascoltai moltissimo! Lui un ottimo divulgatore di emozioni e alla fine, quasi sorprendendomi, mi propose di fare un po’ di esperienza diretta.
Ho così seguito diversi viaggi in Italia da osservatore interessato, fino a quando, con una telefonata, Massimo mi comunicò:
“Domani è il tuo turno. Farai tu il ritiro e la consegna delle cellule!”. Panico! Ma sarò all’altezza? Sarò preparato?
Ho passato la sera precedente a quel viaggio a rispolverare ogni informazione. Tutti quegli appunti scritti fittamente sul mio blocchetto nero, che avevo raccolto durante i viaggi “di piacere”. Aprivo e chiudevo il blocchetto; cercavo di ripassare mentalmente ogni passo della procedura, di ricordare le osservazioni che erano state fatte agli altri colleghi in formazione, a focalizzare gli errori sottolineati da Massimo.
Lei mi guardò orgogliosa e ne fu contenta. Io invece ero molto preoccupato!
Non importa dire adesso che in quella mia prima missione le cose andarono per il verso giusto. Ovvio, grazie al supporto del tutor che avevo.
Ricordo quel ritiro.
Un’attesa lunghissima di oltre un’ora, su una sedia anonima di un anonimo corridoio d’ospedale, che ad ogni giro di lancetta dell’orologio si faceva sempre più scottante.
Il piglio e la puntigliosità della dottoressa del laboratorio, che mi misero un po’ in difficoltà, tanto da farmi “saltare” il controllo dei codici sulle provette e infine l’affabilità del personale del centro trapianti dove consegnai che mi fece sentire invece un po’ più bravo.
Memorabili anche le prodezze al volante di Massimo, in veste di driver. Il suo passare i caselli autostradali alla chetichella, senza perdere del tempo prezioso.
Questa la mia prima volta.
Ma che dire di quando Massimo, chiacchierando allegramente del più e del meno, come se fosse la cosa più naturale del mondo, accennò che mi considerava ormai pronto tra coloro che erano previsti per i viaggi all’estero? Mi salì subito la pressione alle stelle!

Da quel momento a pochi giorni mi telefonò Patrizia, la mente della sala operativa, anzi “la sala operativa”.
Patrizia la conoscevo poco; l’avevo vista di sfuggita in ufficio qualche volta. Al telefono mi propose un Francoforte-Barcellona; “facile facile” disse. Un viaggio che avrei fatto con la sua supervisione, ma solo fino a Francoforte, giusto così, per cominciare.
Altro che pressione alle stelle. A quel punto iniziò a salirmi una tachicardia che mi ha accompagnato per oltre un mese, anche dopo la fine di quel mio primo viaggio da solo.

Ritirare le cellule nella fredda, grigia e anonima Francoforte, insieme a Patrizia, fu semplice.
Anche andare all’aeroporto insieme a lei e seguire le sue istruzioni per passare i controlli di sicurezza fu facile.
Che tensione da lì in poi! Su quel volo per Barcellona ero solo.
A farmi Carrer Villaroel a passo svelto, in salita e sotto il sole di fine aprile, ero solo…
Fino all’ospedale Clinico ero solo e madido, in un bagno di sudore.
E poi solo ero a cercare quel benedetto laboratorio di Criopreservació che non voleva farsi trovare.
E poi che doccia memorabile fu quella fatta appena arrivato all’hotel per scaricare la tensione.

Ecco qua, messo su carta, quello che è stato il mio inizio col Nucleo.
Non che i viaggi successivi siano stati “calma piatta”, anzi tutt’altro…
Basta che la mia mente vada al primo intercontinentale ad esempio. Un’ora di ritardo per arrivare da Pisa a Londra… le lungaggini burocratiche ai controlli di sicurezza conclusi con il sequestro dei ghiaccioli dal mio frigo… la corsa per raggiungere quel 777 che mi aspettava in fondo al terminal 5 direzione Seattle…

Emozioni… Emozioni forti. Ricompensate in pieno dalla consapevolezza di aver aiutato chi meritava e merita ogni sforzo e fatica.
Emozioni di impegni e tensioni che meritano di essere vissute; tutte d’un fiato!

 

FacebookTwitterGoogle BookmarksRSS FeedShare on WhatsApp